Riunione del gruppo congiunto 19-09-2002

 

di Antonella Cuppari


Comincia il mio tentativo di dare un ordine, un filo logico all'incontro di Giovedì. Mi unisco a Livia e a Cosimo nell'ammettere una certa difficoltà nel seguire il discorso.

L'incontro è stato fortemente segnato dalla presenza del direttore del carcere, il dott. Luigi Pagano, che ha sollevato parecchie questioni importanti. Ma vediamo di andare con ordine.


Richiesta di permessi

Per quanto riguarda il permesso richiesto dai detenuti per poter partecipare al convegno sulla sfida del 10-11 ottobre, purtroppo il dott. Pagano ha evidenziato come, indipendentemente dalla sua buona volontà, è poco probabile che questo permesso venga approvato a causa dei tempi troppo brevi.

Per quanto riguarda la possibilità per gli studenti del "Gruppo della trasgressione" di entrare "liberamente" in carcere, senza dover chiedere il permesso al magistrato per ogni incontro, il dott. Pagano ha proposto di presentare un calendario indicante le date dei possibili incontri.

Per quanto riguarda lo spazio da adibire agli incontri, non si è arrivati ad alcuna decisione definitiva, anche se Aparo ha richiesto un impianto audio con microfono in modo da superare le difficoltà acustiche anche in corridoio.


Il film sulla sfida

Salvatore ha proposto la sua traccia di film "Un ponte interminabile", ma è stato osservato che il tentato suicidio di Y, se viene impedito da un evento esterno, può dare l'idea che Y riesca ad evitarlo solo per un "colpo di fortuna" e non per una sua maturazione personale.

Cosimo ha poi parlato dell'idea di Ruggero e quindi del film nel film: da un lato la funzione documentaristica del film, che vuole mostrare come il carcere di S. Vittore e il nostro gruppo realmente funzionano, dall'altro lato la finzione narrativa, e cioè i tentativi che i detenuti fanno per mettere in scena un film.

L'espediente della doppia funzione dovrebbe favorire il coinvolgimento dello spettatore e aiutarlo a superare le resistenze di fronte a un film prodotto da detenuti e recitatato da attori non di prim'ordine.

Poi Ivano ha parlato della sua traccia e io ho proposto alcune variazioni a questa; infine è seguita la proposta di Dino. Queste ultime tre tracce possono essere inserite all'interno del "film del film", anche se ciò che rende l'ipotesi di Ruggero di Maggio la più idonea per i nostri scopi è proprio la doppia funzione che ci permette.

A questo punto è intervenuto il dott. Pagano:

"Ho ascoltato tutte le tracce e in queste si parla sempre di sfide individuali, mai collettive; il protagonista riflette e cambia, ma tutto si ferma lì. Io sinceramente non troverei interessante un film del genere.

Il discorso è che ci si chiede sempre "cosa può fare la società per me?" ma la domanda inversa "cosa posso fare io per la società?" il detenuto non se la pone mai. E allora ecco che una bella sfida potrebbe essere una campagna contro la droga lanciata dagli stessi detenuti, una campagna contro la mafia lanciata dagli stessi pentiti.

Purtroppo accade spesso che i detenuti si sentano vittime e vogliano dimostrare la loro bontà alla società. Però nella cultura carceraria esistono delle leggi ben più inflessibili e radicate, come per esempio il rifiuto di chi vive al "secondo piano del sesto". Stiamo parlando di pedofili, stupratori, transessuali che sono detenuti e che vengono emarginati. E allora bisognerebbe veramente chiedersi se siano lecite queste differenze di trattamento.

A parte questa questione, io credo che nelle tracce di film proposte rimane tutto troppo fermo sul piano individuale. Ciò nonostante mi è piaciuta molto l'idea di Ruggero di Maggio."

 

Come mia riflessione personale aggiungo:

Questa critica di Pagano circa l'eccesso di individualismo delle sfide nelle ipotesi di film raccolte mi ha fatto riflettere. Credo infatti che tutte le sfide, se si fermano al piano individuale rimangono parziali, improduttive. La sfida di un detenuto, più che mai, non può limitarsi al piano personale. Effettivamente, chi guarda il film rimane comprensibilmente poco interessato al processo di crescita interiore del protagonista detenuto, se questo processo non dà dei frutti socialmente utili.

Secondo me questo fatto è importante quando si parla di detenuti; bisogna dimostrare non solo agli altri ma anche a se stessi che la sfida che si porta avanti è in grado di trasformare l'ambiente circostante, è rivolta all'esterno, ma stavolta in maniera costruttiva: una nuova sfida che utilizza gli strumenti del mondo esterno e le proprie macerie per ricostruire qualcosa che era stato in precedenza distrutto. Ma questo qualcosa deve essere visibile e soprattutto deve diventare patrimonio dell'intera società.

Da qui, secondo me, le proposte di Pagano circa campagne contro la droga da parte dei detenuti. Credo sia molto importante puntare sulla produttività, sulla utilità concreta che la sfida costruttiva di ogni singolo detenuto può portare.

 

 

Interviste sulla sfida


Salvatore ha esposto i risultati delle interviste ad alcuni detenuti di San Vittore: "un lavoro veramente eccellente", ha commentato Aparo.

Tiziana, parlando delle interviste da lei fatte con i tossicodipendenti della comunità presso la quale lavora, ha fatto notare come per questi ragazzi la sfida è a doppio senso: da un lato la sfida è drogarsi e dall'altro è anche uscire dalla droga. La stessa dialettica è presente nell'esperienza personale di Rocco, ragazzo che prima era al Beccarla, il quale, dopo avere ascoltato l'intervista alla dott.ssa Fratantonio che aveva riassunto Alice, ha detto:

"Io non sono d'accordo con la dott.ssa Fratantonio quando dice che la sfida dell'adolescente è rivolta all'esterno, ai genitori, agli amici. Io ho sfidato e sfido per mostrare qualcosa a me stesso e non per appartenere ad un gruppo. Da un lato c'era la sfida per fare casino e dall'altro la mia sfida era cercare di uscire dal casino. Ora che sono uscito dal casino, la mia sfida è quella di non rientrarci più."

 

A questo intervento ne sono seguiti altri, provenienti da detenuti e non.

 

La sfida e i termini del conflitto

Poi il discorso ha lasciato le interviste per riprendere il tema della sfida più in generale e affrontare problematiche che in questi mesi sono diventate materia di riflessioni quotidiane. E' stato di nuovo Pagano a sollevare una questione molto importante:

"Ma qual è la vera sfida di un detenuto che si trova in carcere? Superare ciò che lo ha portato a deviare oppure uscire dal carcere? Qual è il problema? Ciò che induce a commettere reati o la sofferenza di vivere in carcere? E' ovvio che il carcere è un posto pesante e che fa soffrire chi ci vive; ma allora perché il detenuto desidera capire le motivazioni che lo hanno portato al suo gesto deviante proprio quando si trova in carcere?"

 

Aparo ha ripreso il pensiero del dott. Pagano:

"Probabilmente Pagano vuol dire è che spesso si commettono reati in buona sintonia con se stessi, salvo rammaricarsi poi delle conseguenze che ne derivano.

Grosso modo, possiamo confrontarci con due letture dell'atto delittuoso:

  1. chi commette un reato è in conflitto con se stesso già mentre trasgredisce
  2. chi commette l'atto delinquenziale è in sintonia con stesso, ma patisce le conseguenze del suo atto.
Io credo che l'essere umano abbia come sua caratteristica naturale quella di vivere spinte contrastanti: chi fa uso di droghe vi cerca un appagamento, ma soffre di non sapersene emancipare; il rapinatore cerca soldi col minor dispendio possibile di energia, ma patisce di non sapere investire diversamente le proprie energie, vorrebbe imparare a farlo, ma crede di non avere strumenti sufficienti per provarci."

 

Come osservazioni personali, aggiungo:

Il dottor Pagano ha sollevato un'altra questione importante circa il perché una persona arriva proprio in carcere a riflettere sulle reali motivazioni del suo gesto deviante; Pagano si chiede, in sostanza, se il detenuto riflette su queste motivazioni perché è realmente pentito o piuttosto per le conseguenze che il gesto ha causato.

Io credo che il carcere favorisca questa riflessione più che altro perché è la conseguenza di una macroscelta, di cui la persona può solo ora essere consapevole. Tutta la condotta deviante è il risultato di una serie di microscelte in cui si è poco consapevoli delle conseguenze cui avrebbero portato.

Il carcere è in questo senso un qualcosa andato storto, e allora è normale che il detenuto si ritrovi a riflettere su cosa l'ha condotto dietro le sbarre, è normale che il detenuto si volti indietro e guardi la strada percorsa chiedendosi il perché, al bivio, ha scelto una strada piuttosto che l'altra.

 


A questo punto è di nuovo intervenuto il dottor Pagano:

"La vera sfida è che noi dovremmo fare a meno del carcere per alcuni reati. Il carcere isola; in nome della sicurezza sociale isola chi commette reati; l'obiettivo della risocializzazione è secondario a questa sua principale funzione.

Sembra quasi che le attività e i lavori all'interno del carcere possano far diventare il carcere un luogo di risocializzazione, cosa che di fatto non è. Ecco cosa ho paura che il vostro film trasmetta, e cioè il fatto che il carcere, in fin dei conti, possa far bene. Ma non è così!"

 

Con queste parole si è conclusa la prima parte dell'incontro. Il dottor Pagano se ne è andato e dopo circa 15 minuti abbiamo ripreso la discussione là dove era stata lasciata.

Aparo ha cercato di chiarire le parole del direttore:

"Credo che Pagano volesse evidenziare questo problema:

  • tutte le variazioni proposte per il film sostengono che l'attività di questo gruppo giovi al percorso di risocializzazione del detenuto;

  • questo potrebbe essere interpretato da molti spettatori in maniera opposta a quella che, secondo Il dott. Pagano (ma anche secondo me!) è la realtà delle cose;

  • molte persone potrebbero quindi ricavarne che il carcere fa bene, aiuta il detenuto a reinserirsi nella società, lo aiuta a riflettere e a maturare,

  • e concluderne, infine, che tutte queste sono delle buone ragioni per mettere in cella anche chi commette reati per i quali sarebbe meglio ricorrere a pene alternative alla detenzione.

Noi attraverso il film vogliamo parlare di una realtà dura e mortificante, ma esiste il rischio -secondo il direttore- che parlando della nostra attività comunichiamo l'esatto contrario!"

Aparo ha poi concluso dicendo che è particolarmente stimolante confrontarsi con queste difficoltà e cercare il modo di non lasciarsene passivizzare.

Il prof. ha poi ripreso un altro punto sollevato da Pagano: la discriminazione verso i detenuti per reati sessuali

"Riconoscere dove la società sbaglia è facile, soprattutto per chi soffre in conseguenza di tali errori. E' più difficile riflettere sulle idee cristallizzate che manteniamo in testa, idee che anziché alimentare la nostra curiosità verso la complessità delle cose, svolgono soprattutto la funzione di difenderci da realtà che ci turbano e che parlano del nostro mondo interno più di quanto possa far piacere ammettere."

 

Dino, Enzo e Salvatore hanno invece osservato che

"la discriminazione che i detenuti comuni operano verso chi ha commesso reati su minori e a sfondo sessuale è del tutto simile a quella che vivono anche i liberi cittadini. Tutte le persone, infatti, hanno verso chi ha abusato di un bambino un particolare rigetto."

 

Infine, è stato osservato che

"la legge condanna chi commette reati di pedofilia ignorando deliberatamente gli aspetti patologici che hanno indotto la persona a commettere l'abuso. Da un lato è vero che queste persone subiscono in carcere una discriminazione e che gli altri detenuti ne prendono le distanze, ma è forse ancora più vero che l'istituzione ignora o sottovaluta delle differenze che sono un dato di fatto, se non altro dal punto di vista della salute mentale; accade così che vengano tenute in carcere persone che dovrebbero essere curate altrove."

 

L'incontro è così terminato con questa questione ancora aperta, aperta a chiunque voglia esprimersi su un problema così delicato.

Credo che questo incontro con Pagano sia stato utilissimo per: