Dopo l'abbraccio il lavoro |
Livia Nascimben | 15-04-2004 |
Il secondo incontro sull’arte con il professor Zuffi nasce da riflessioni attorno ad uno scritto di Umberto Picone, L’orologio a pendolo. Fra queste, una era stata di Marcello Lombardi, che aveva legato il momento del pendolo a quello che Rembrandt propone col suo dipinto.
In uno dei commenti a “L’orologio a pendolo” il discorso è incentrato sul tempo della domanda e sul valore della relazione tra padre e figlio: il tempo interrotto non consente ai due termini della relazione, genitori e figli, ma nemmeno alle due parti della società libera e detenuta, di riconoscersi ed evolvere nel rispetto e nel bisogno delle differenze di ruolo. Marcello, dal canto suo, trova la risposta sul perché un figlio torni al padre, dopo essersene allontanato, in quell’abbraccio intimo, che lui stesso ha desiderato e non ha mai avuto.
Un padre abbraccia un figlio, lo accoglie e gli dà attenzione dopo che questi è andato via di casa sperperando i suoi averi e venendo meno alla sua fiducia; il fratello rimane disorientato, ha lavorato una vita accanto al padre, è sempre stato devoto e cosa gli sembra di ottenere?
Un’umiliazione e una mancanza di riconoscimento del suo impegno e valore. Interroga il padre con atteggiamento giudicante: com’è possibile che riceva più attenzione chi ha meno collaborato alla ricchezza e al bene comune; chi col suo comportamento ha rischiato di mandare alla rovina l’intera famiglia? E’ difficile da comprendere!
Nel quadro di Rembrandt, come nella parabola del vangelo – suggerisce Aparo – ciò che viene raccontato non è tanto la relazione tra padre e figlio, quanto il sentimento di stupore, rabbia, gelosia, rancore e rifiuto del fratello rimasto accanto al padre. Sentimenti umani che si attivano di fronte ad un’apparente e irrisolvibile contraddizione: un padre rivolge l’attenzione al figlio che torna dopo averlo tradito e non a coloro che sono rimasti, per quale motivo? A che scopo investire su chi ti ha danneggiato?
Il professor Zuffi descrive i tre personaggi alla sinistra del padre e del figlio, stretti in un abbraccio, come figure giudicanti, non partecipative, distanti dalla coppia e incapaci di interagire. Le due figure centrali si toccano, le altre guardano, non capiscono, hanno le braccia conserte, rimuginano con gli occhi fissi sull’abbraccio.
Quando ero piccola litigavo molto con mio fratello, ci facevamo i dispetti, spesso eravamo in competizione, ognuno desiderava avere il primato sull’altro. Quando mia mamma interveniva molte volte prendeva le difese di mio fratello e a me diceva di capire, di comportarmi giudiziosamente e di lasciar correre le sue provocazioni. Io ero sì la sorella maggiore ma non capivo, a volte sentivo di avere ragione, mio fratello era da punire e perché mia mamma diceva a me di essere comprensiva? Mi sentivo tradita da lei e non capivo; provavo rabbia verso mio fratello, mi faceva disperare e veniva pure consolato, era incomprensibile.
Rembrandt, 30 anni prima di dipingere Il ritorno del figliol Prodigo, si dipinse nei panni del figlio al momento in cui sperpera le ricchezze dategli dal padre; 30 anni dopo interpreta il ruolo del padre che perdona e accoglie. Quando io mi sono trovata nella parte del figlio che si sottrae alla relazione, mi è stata data la possibilità di ricucire il rapporto che avevo leso e questo mi ha permesso di riconoscere in me, e nell’uomo, la presenza del male oltre che del bene e la necessità di recuperare una distanza prima che diventasse incolmabile.
Ne La tempesta del Giorgione, analizzato nel precedente incontro, la distanza tra la donna che allatta il bambino e l’uomo sull’altra sponda del torrente richiede tempo e lavoro per essere superata; nell’opera di Rembrandt siamo oltre quel momento, la distanza è stata colmata, in virtù della misericordia del padre, è stato possibile porre le premesse per l’inizio di un nuovo percorso.
Il padre tiene a sé il figlio ritrovato, come se volesse incorporarlo a sé, e all’altro figlio, disorientato e amareggiato, dice: “Tuo fratello che era morto è tornato”, come a offrirgli un elemento di lavoro per giungere alla comprensione dell’apparente contraddizione iniziale.
Aparo ribadisce che la centralità del discorso su cui volgere l’attenzione è affidata ai sentimenti nell’ombra, all’espressione delle altre tre figure protagoniste della scena. Il recupero del figlio non è solo un gesto d’amore di un padre verso il proprio figlio, ma anche il recupero del padre stesso, di colui che riacquista completezza dopo aver ritrovato qualcosa che sembrava definitivamente perduto, di un’attesa che viene colmata, del tempo della relazione interrotta che può essere riattivato: “la pena deve innanzitutto prevedere un progetto, il progetto di ricucire il baratro che le circostanze storiche e le responsabilità personali del reo hanno alimentato fra lui e la vittima; altrimenti è più appropriato chiamarla vendetta.”
Il timore e il sospetto, che esprimono le tre figure laterali, che l’allontanamento tra padre e figlio possa nuovamente verificarsi, può essere superato dalla direzione che sembrano indicare padre e figlio col loro abbraccio: promuovere un dialogo fra aree sociali differenti, tra il mondo della devianza e il mondo della società libera, tra le imperfezioni, inquietudini e difficoltà che caratterizzano gli esseri umani, dentro e fuori le mura, valorizzando le somiglianze nelle differenze.