Al Direttore de "La Stampa",
agli italiani curiosi, pur se allarmati
In questi giorni tutti i quotidiani e diverse trasmissioni televisive parlano di "Far West a Milano". Si segnala lo stato d'assedio in cui il cittadino vive, l'assetto di guerra cui costringe la malavita organizzata, il rammarico per il fatto che le pene certe rimangono appannaggio esclusivo dell'inferno, peraltro una delle peggiori invenzioni del cristianesimo.
Lavoro a San Vittore, come psicologo del Ministero della Giustizia, da 20 anni; da 18 mesi conduco, con una quindicina di detenuti della sezione penale, un gruppo di lavoro che riflette sul tema della trasgressione, sulle spinte e sulle circostanze che inducono al reato, alla sopraffazione, all'abuso, alla violazione dello spazio e della libertà dell'altro.
A questo gruppo abbiamo spesso degli ospiti: giornalisti come Enzo Biagi, medici e docenti universitari come Pasquale Ferrante, magistrati come Laura Gay, religiosi come Don Melesi e -si spera fra poco- il cardinale Martini, gente di spettacolo come Fabio Fazio, Renzo Arbore, Ornella Vanoni.
Queste persone, insieme con i detenuti, si interrogano su cosa cerca chi uccide, chi ruba, chi spegne la fantasia delle sue vittime, rimanendo incapace di veleggiare con la propria, schiacciato nel ruolo di burattino del proprio stesso rancore, miope tanto da scambiare una bella macchina per un cavallo alato, confuso tanto da vedere nella figura di un tabaccaio o di un bambino i cancelli intollerabili della prigione emotiva dalla quale non sa liberarsi.
Signor direttore, cittadini curiosi, siete invitati a partecipare a questa ricerca, collaborando con chi è cresciuto nel rancore e che oggi chiede l'incontro con le persone che poco tempo fa ha confuso con i fantasmi della sua prigione personale.
Capisco! Chi ha ucciso il tabaccaio ha creato dolore, generando paura e rabbia in noi tutti, disperdendo quella voglia che avevamo di interrogarci, prima che le amarezze e le contraddizioni della vita ci defraudassero di gran parte del nostro desiderio di conoscere!
E' così purtroppo! Il dolore spegne la curiosità e non a tutti rimangono fiaccole per cercare. Di certo non le si può chiedere né offrire oggi ai parenti delle vittime! D'altra parte, va considerato che quelle fiaccole qualcuno non ha mai potuto raggiungerle; mentre altri hanno dimenticato che il fuoco può anche dar luce; non solo sancire le pene dell'inferno.
Io credo che la pena debba innanzitutto prevedere un progetto: il progetto di ricucire il baratro che le circostanze storiche e le responsabilità personali del reo hanno alimentato fra lui e la vittima; altrimenti è più appropriato chiamarla vendetta.