| Il tempo della domanda |
Angelo Aparo | 30-12-2003 |
“L’orologio a pendolo”, un orologio rotto che batte, bussa e respira molto più di un pendolo in funzione. L’interruzione dell’oscillazione del pendolo, anziché dar luogo a una stasi, apre una domanda che si mantiene viva e bussa ai ricordi e alle aspirazioni di chiunque giochi nel ruolo di padre o di figlio. L'incubo di Umberto afferra le domande che sonnecchiano, quelle che stentano a farsi riconoscere, quelle che esitano a prendere voce.
Il pendolo del signor Picone, grazie allo scritto del figlio e all’ascolto di chi vi presta orecchio, invita al risveglio tutte le domande che, per la paura di non trovare risposta, si lasciano risucchiare nel torpore di una nebbia grigia o si nascondono dietro il rumore di eccitazioni acquistate a basso prezzo.
L’attacco del figlio all’orologio è annodato alla paura di non trovare lo spazio per crescere dentro un campo i cui confini sembrano quelli imposti dal tiranno, al timore che il padre possa reagire alla provocazione dimettendosi dalle sue funzioni, ma anche alla speranza che il padre sappia intendere dell’attacco stesso la domanda che esso contiene.
E la domanda non viene disattesa da nessuno dei due: il pendolo ferito del padre la conserva e la alimenta, mentre l’incubo pungente e benefico di Umberto la ricorda e la chiama.
Il pendolo aspetta che altre futili e frastornanti oscillazioni si plachino, per tornare a battere il tempo della relazione, un tempo nel quale gli errori attivano domande invece che segregarle, il tempo della costruzione.
Ed è bello che chi attende e cerca, di qua e di là dal muro, sappia riconoscere il tic tac di questo dialogo e giovarsene.
A proposito, buon anno signor Picone.