Vibrazioni di colore |
Antonella Cuppari | 06-03-2004 |
I ricordi di Enzo, e il suo “straripante potere” hanno portato ieri ad un interessantissimo incontro tra Giorgione e la sua tempesta, i detenuti del Gruppo, noi studenti, il signor Borasio e il signor Stefano Zuffi, storico d’arte.
IL POTERE
Ieri Aparo faceva notare come Enzo, grazie a Giorgione, sia riuscito a soddisfare il suo “straripante potere”, riunendo trenta persone attorno ad un’opera che in lui aveva richiamato la sofferenza legata alla morte del padre, e al suo desiderio di comunicazione.
Per il dottor Zuffi i personaggi dei dipinti sono condannati ad essere in carcere per l’eternità. La donna col bambino e l’uomo della “Tempesta” sono così da cinquecento anni; l’unico modo che essi hanno per vivere sono le emozioni che i fruitori dell’opera provano di fronte ad essi.
Scherzosamente Aparo ha così proposto uno slogan: “Portare i quadri in galera per liberarli”. Il prossimo sarà “Il figliuol prodigo” di Rembrandt, il 29 marzo.
Ieri guardavo il potere di Enzo, ne sentivo la freschezza, percepivo lo spazio che si allargava, mi divertivo a lasciarmi coinvolgere.
Mi viene in mente l’incontro del Faro del 27 febbraio, e in particolar modo la discussione sul potere di Eric e di Fulvio.
Quando il potere di una persona è creativo, produttivo, comunicativo, quando accende emozioni mie che posso rilanciare, allora in esso vedo un allargamento del mio spazio vitale e mi sento nutrita.
La “tempesta” di Giorgione non mi diceva niente fino all’altro giorno; oggi mi richiama un’esperienza condivisa, quella di ieri, e oggi rivedo in quest’opera il desiderio di relazione con la parte di me che ho abbandonato, schiacciato e umiliato.
L’ATTESA E IL DESIDERIO DI RELAZIONE
Ieri molti di noi hanno dato ai personaggi e agli elementi rappresentati nell’opera delle identità e dei significati differenti.
Marta ha visto nell’uomo del quadro una persona che desidera mettersi in relazione con la donna e il bambino ma attende il tempo per farlo.
Aparo riprende il concetto di attesa. I detenuti non possono che attendere. Spesso l’attesa diventa un tempo congelato, bloccato; si attende il giorno della liberazione, della fine della pena. A volte, però, in questo arco di tempo è possibile fare qualcosa.
Ieri la “Tempesta” era proiettata su un muro del carcere, grazie ad Enzo, grazie all’intraprendenza del dott. Borasio, grazie a Giorgione, e grazie alla disponibilità del dott. Zuffi.
Il baratro che separa l’uomo dalla donna e dal bambino può richiamare la separazione tra chi sta dentro il carcere e chi sta fuori (come ha proposto Armando), ma anche tra sé e una figura che non c’è più (il papà per Enzo), o con una parte di sé con cui non si riesce a comunicare.
L’elemento comune rimane sempre quel baratro, il desiderio di relazione, e l’attesa.
Ciò che si fa durante l’attesa è quello che permette di colmare quella distanza.
Così è stato durante l’incontro di sabato con la signora Bartocci, così è stato ieri con il dott. Zuffi, così è stato con la scuola di Carate, così è ogni volta che durante l’attesa si riesce a produrre qualcosa, a fare cultura, a scambiare e comunicare emozioni, lavorando sui muri che separano.
LA VITA IN DIVENIRE
Questo quadro è stato dipinto in un momento di transizione culturale; Giorgione risulta innovativo, sia da un punto di vista tecnico, sia per quanto riguarda il tipo di personaggi rappresentati.
Il quadro sembra riflettere l’evoluzione che l’artista vive e quella del suo tempo. Viene rappresentato un prima e un dopo, una tempesta trascorsa e una luce del sole che via via sta tornando, un brutto momento trascorso e un momento nuovo in arrivo. E’ la vita nel suo perpetuo divenire.
Corrado ieri ha detto che in questo quadro sembravano esserci due facce, una tempestosa, passata e una nuova, positiva.
Il dottor Zuffi ha aggiunto:
“Ai tempi di Giorgione vi era un dibattito tra pittura e scultura, ed uno dei limiti che la pittura sembrava avere era proprio quello dell’incapacità di rappresentare la solidità e le diverse facce dell’essere umano.
Giorgione risolse questo conflitto con un dipinto, che purtroppo oggi non c’è più, in cui era rappresentato un soldato che si toglie l’armatura vicino ad un ruscello. L’armatura adagiata per terra, lo scudo posato sul ramo di un albero, la superficie dell’acqua, vengono da Giorgione usati per rappresentare facce diverse della stessa persona.”
Un quadro può così diventare anche uno specchio interiore, proprio come è successo ad Enzo, a me e a chi ieri ha visto in esso rappresentato qualcosa di sé.
VIBRAZIONI DI COLORE
Per prepararmi all’incontro ieri avevo cercato su internet qualche critica a quest’opera. Mi ero segnata un commento che mi piaceva perché riusciva a rendermi partecipe di quello che stavo osservando e ho letto qualche passaggio al gruppo:
“Per Gabriele D’Annunzio, nelle opere del Giorgione, il colore diventa lo sforzo della materia di convertirsi in luce. E’ una luce che nasce spontaneamente dall’incontro dei chiari e degli scuri, dal contrasto tra le parti sfumate e le forme nette e precise, e anche dalle vibrazioni del colore.
Nella “Tempesta” il colore è ricco e profondo; tutto sembra alludere alla vita nel suo perpetuo divenire. Tale esaltazione della natura è descritta come una sinfonia di elementi eterogenei.” – Giancarlo Von Nacher
Il dottor Zuffi ha voluto spiegare cosa si intende per “vibrazioni del colore” e ha parlato di una tecnica pittorica: il tonalismo. Si tratta di pittura ad olio; mentre nella pittura a tempera ogni colore copre e nasconde quello sottostante, il colore ad olio, essendo translucido, permette di fare diverse sovrapposizioni. Il colore che emerge è così il risultato unico e originale delle diverse sovrapposizioni.
Ho parlato spesso dei colori.
Faccio fatica a riconoscermi nei diversi colori di cui la realtà dispone; è come avere davanti a me una tavolozza con tantissime tonalità, da usare per dipingermi, e non riuscire ad utilizzarne tutta la gamma.
Questo mi fa soffrire, perché non riesco a sentirmi autentica, non riesco a godermi i momenti di festa, non riesco a piangere nei momenti in cui sono triste. A volte mi privo della rabbia del nero, a volte della spensieratezza del bianco, a volte del dolore del grigio. Faccio fatica a gestire i colori. Da sola.
Dino ieri ha letto uno scritto di Fabio; parlava delle emozioni provate sabato.
Ho chiesto a Fabio se potevo tenere il suo scritto; in esso vedevo un colore che ritrovavo anche in me: mi sono confrontata e colorata della sofferenza, della pesantezza, del desiderio di fuggire, del bisogno di restare con gli altri che Fabio descriveva.
Anche io sabato facevo fatica ad alzare lo sguardo e a guardare gli altri, il prof, Massimo, Fabio, la signora Bartocci. Vedevo in loro un colore nuovo, che mi veniva offerto ma che avevo paura di fare mio.
Sto capendo, però, che è solo nell’incontro con l’Altro che posso trovare il modo di far vibrare i colori, di sovrapporli senza nasconderli, di crescere e divenire.
“Prima di questo incontro pensavo che la mia vita incominciasse da me, ora credo che la mia vita incominci dagli altri.” – Fabio Licciardi