La meta dei ricordi | |
Enzo Martino | 26-01-2004 |
Il difficile è mettere le emozioni a disposizione degli altri e aspettare che quello che proviamo possa ispirare altre persone a farsi avanti. |
Quante volte abbiamo detto o sentito dire “la vita bisogna prenderla come un gioco”! Peccato che di gioco non si tratta! La mia tristezza è di non aver saputo tirare fuori quello che ho di buono dentro e consegnarlo nelle mani di chi ancora adesso mi sta vicino.
Mi chiedo se si può essere così ciechi da non capire chi veramente ci ama. Sembra una lettera d’amore, ma non è quello che intendo fare. In effetti, a pensarci bene, forse è anche una lettera sentimentale, rivolta alle persone che sono ancora chiuse in se stesse: è facile parlare quando non si scrive di sentimenti propri, il difficile è mettere le emozioni a disposizione degli altri e aspettare che quello che proviamo possa ispirare altre persone a farsi avanti.
Non voglio dire con questo che bisogna spogliarsi di tutta la propria intimità, ma un passo avanti bisogna farlo tutti, quando ci si sente pronti ed attuare questo proposito senza ipocrisia. Anche se un po’ ipocriti lo siamo un poco tutti, è innegabile! Credo però che davanti ai sentimenti delle persone, non bisogna avere degli atteggiamenti d’ipocrisia.
Oggi ho imparato a mie spese, per il dolore che ho avuto e che tuttora porto dentro, quanto sia importante parlare di quello che abbiamo vissuto e sentito. In ognuno di noi s’instaura un rapporto con se stessi; da lì bisogna incominciare, serve parlare del proprio Io, e capire o farsi aiutare a capirsi. Noi del gruppo abbiamo l'opportunità di farlo. Io, per conto mio, non la lascio sfuggire: guardarsi dentro alle volte non fa male. Voglio raccontare una esperienza che mi appartiene.
La perdita di mio padre.
Ancora adesso non mi sono reso conto totalmente che non c’è più. Sarà che non ho vissuto il momento di quando ha spento gli occhi! Forse per non aver parlato con lui gli ultimi mesi di vita, ancora oggi lo immagino fuori ad aspettare che io ritorni a casa per stare insieme. Sembra assurdo. Avere 40 anni e due figli e una donna che mi ama, e non rendersi conto che le sofferenze sono parte della vita. Con la perdita di mio padre mi sono sentito sopraffatto. Al pensiero che mio padre stava per morire e io non potevo stargli vicino, mi sentivo di defraudarlo del mio bene verso lui. Credo che lui avrebbe desiderato avermi vicino, credo di non dire nulla di nuovo per chiunque abbia una persona cara che sta per morire.
Guardando i miei figli capisco che a mio padre non gli volevo bene, ma bensì lo amavo intimamente. Mi rammarico di non avergli mai detto quello che adesso dico a voi con questa lettera. Quello che ho provato alla notizia della sua morte cerco di spiegarlo come posso, per riuscire a capire io stesso e farlo intendere agli altri.
Credo che nessuno riesca a identificare con chiarezza cosa è il dolore o la gioia. Il dolore che ho provato io è come una boccetta di vetro fine che si rompe in mille pezzettini e si sparpaglia in giro nella casa. Quei pezzettini di vetro sottile sono quasi impossibili a vedersi, ma fanno male se a piedi nudi ci passi sopra. Se passi sopra scalzo, il vetro entra nella carne ferendoti e facendoti provare del dolore “vivo”. Ogni volta che riemerge un’immagine del passato con mio padre, mi ritrovo a provare del dolore, un dolore invisibile come quei pezzetti di vetro.
La tristezza di allora la porto ancora con me. Sarà difficile liberarmene, o forse non voglio disfarmene. Ci sarà una spiegazione a questo; mi domando spesso perché non voglio liberarmene. Credo che mi serve come stampella al mio carattere, per continuare nel mio percorso tortuoso, che con il tempo si farà sicuramente più praticabile, forse grazie anche a mio padre. Perdendo una persona cara, ti vengono in mente dei trascorsi avuti con lei e ti sembra poco il tempo trascorso con lui; a me è successo, ancora adesso è così. Ricordo alcune scene buffe, alcune forse troppe poco buffe.
Un genitore, chiunque egli sia e al di là di come egli desideri esercitare le sue funzioni di genitore, nella vita incontra tante difficoltà. Un padre pertanto, non riesce ad essere del tutto giusto nell’esercizio della sua funzione di genitore. Questo si capisce solo quando s’invertono i ruoli, quando il figlio diventa padre.
Ma io penso che mio padre è stato felice lo stesso, anche se non ha avuto quello che ho potuto avere io. I ricordi e i desideri lottano per vivere e, a qualsiasi costo, ci riescono.
Quando la morte ci passa vicino rimaniamo turbati, come se non sapessimo che è naturale che avvenga. La morte è qualcosa d’irreversibile e questo ci fa paura. La vita è come un fiore che cresce; morendo, lascia cadere a terra dei semi che, a loro volta, crescono, e la vita si ripete. Forse anche la morte.
Considerato uno dei quadri più enigmatici di tutta la storia dell'arte, il capolavoro di Giorgione è fra i primi esempi di pittura di paesaggio. Il senso più profondo del dipinto è probabilmente l'intimo connubio tra le figure umane e l'ambiente naturale, forse il protagonista del racconto pittorico. Le acque, gli alberi, la vibrazione atmosferica rendono tangibile il mistero della natura che avvolge le vicende umane e il corso della storia, simboleggiato dalle rovine, immagini di civiltà dimenticate. La tempesta è oggi conservata presso le Gallerie dell'Accademia di Venezia. | Ho pensato di legare queste riflessioni alla "Tempesta", il capolavoro del Giorgione e di riportare, ricavandole da testi di storia dell'arte, alcune note che mi hanno colpito. Enzo Martino |