Il macigno

Fabio Licciardi

28-02-2004  

Mi sento turbato da quello che oggi ho provato al gruppo; scrivo in questo momento con la confusione nella testa. Sono convinto di aver partecipato ad una straordinaria rivoluzione, per il gruppo ma soprattutto per me stesso. Il macigno d’emozioni crollatomi addosso durante la riunione mi soffocava, gli occhi mi si chiudevano, il respiro si faceva sempre più pesante.

I miei occhi erano attirati nella direzione degli ospiti, ma dentro di me una terribile paura di incrociare il loro sguardo. Mi sono sentito colpevole, forse vedevo in loro le mie vittime, mi sono ritrovato a combattere con il rimorso al quale non sono mai riuscito a nascondermi. Mi sentivo inutile, nella mia testa passavano tutte le paure con cui vivo da quella maledetta notte, tutto davanti a me era buio.

L’intervento della signora Bartocci mi ha dato il colpo di grazia, facendomi cadere in un’angoscia tremenda. Le sue parole tuonavano nella mia testa, mi sentivo stordito, affaticato, il respiro mozzo dinanzi alle mie paure.

Durante l’incontro avrei voluto la forza per comunicarle il dolore e il rimorso con cui vivo ogni singolo giorno della mia vita. Avrei voluto parlarle di come la mia vita sia cambiata da quel momento, di come mi sento incapace di sorridere, cosi da lasciare indifferenti le persone alla mia presenza. Avrei voluto dirle di come vivo, evitando di mettere in imbarazzo le persone con la mia presenza, pur avendo bisogno di loro nella mia vita. Volevo dirle che mi sono spento, non riuscendo più a trovare l’interruttore per riaccendermi, navigando nel buio di me stesso.

Penso di essermi condannato ad una pena morale troppo grande, per continuare a vivere senza il rimorso. La stessa confidenza di Antonella mi faceva sentire colpevole, facendomi sprofondare sempre di più nel vuoto di me stesso.

Avrei voluto scappare fuori dalla porta, tornare nella mia cella, rifugiarmi nella mia solitudine, ma sentivo il bisogno di rimanere lì, per cercare di capire come mai delle persone così provate dalla sofferenza venivano nel luogo in cui avrebbero trovato persone come me.

In questi anni di detenzione mi sono sentito solo nel mio cammino, ora percorro una strada con persone speciali, persone come Antonella che ha la forza di cercare qui con noi il perché di tanta sofferenza, invece di chiederselo da sola a casa sua. Prima di quest’incontro pensavo che la mia vita incominciasse da me, ora credo che la mia vita incominci dagli altri.