Il sogno del padre |
Marta Sala | 02-03-2004 |
Un'opera d’arte si presta alle più svariate interpretazioni, ognuno può proiettare una parte di sé senza correre il rischio di rimanere imprigionato e di non riuscire più a tornare indietro.
Proprio questo è successo al gruppo durante la discussione su “La Tempesta” del Giorgione col professor Stefano Zuffi. Attorno a questo quadro aleggia un’aura di mistero dato che l’autore (sulla vita del quale si hanno notizie poco certe) non ne ha mai rivelato il reale significato. Così è ancora più facile giocare entrando senza timori dentro il “proprio” quadro, creando ogni volta una storia nuova.
La prima volta che ho visto questo quadro è stato sul sito grazie ad Enzo che si è lasciato trasportare dalle pennellate del Giorgione fino ai ricordi della sua infanzia, a quella “saitta”, unico collegamento tra il suo piccolo paesello e la città de “La tempesta”.
Io invece mi sono soffermata sulle figure rappresentate e sulla strada che le collega.
C’è una donna quasi nuda sulla destra che allatta il suo bambino e un uomo vestito in piedi sulla sinistra, su una roccia, separato dalla donna da un fossato.
Lo sguardo dell’uomo è rivolto alla diade madre-bambino; sembra voglia far parte di quel piccolo miracolo, ma che non abbia il coraggio di chiedere per paura di disturbare un momento tanto intimo.
Allora come fare a raggiungerli per non sentirsi messo da parte?
Potrebbe fare un salto e arrivare immediatamente sull’altra sponda, ma irrompendo in quell’idillio turberebbe la quiete del piccolo spaventandolo.
Per non rischiare decide di aspettare e nell’attesa sperare che sia il bimbo, diventato grande, a raggiungerlo permettendogli di esercitare finalmente le sue funzioni.
Però il bambino, una volta cresciuto, potrebbe prendere la strada che si intravede sulla destra e allontanarsi, non riconoscendo nell’uomo il proprio padre.
Agire saltando o aspettare passivamente?
C’è una terza possibilità: cercare una strada alternativa.
Guardando dietro di sé, potrebbe scorgere il ponticello che collega le due sponde e decidere di sfruttarlo per raggiungere il suo scopo.
Arriverebbe dal bambino proprio nel momento in cui lui sarà abbastanza “grande” per riconoscerlo, ma senza spaventarlo. Potrebbe portargli le esperienze vissute durante il viaggio e insegnargli le regole che governano il mondo. Non si sentirebbe inutile per aver solo atteso, ma userebbe il suo pensiero per trovare una via che lo porti al suo sogno.
E’ quello che cerchiamo di fare anche noi col gruppo: usare il tempo per scorgere strade nuove. Trasformare il “tempo dell’attesa” in “tempo della domanda”.
Il percorso non è facile, ci sono ostacoli. Anche sulla strada del protagonista del quadro ci sono muri da scavalcare e boschi da superare, ma lo scopo da raggiungere è troppo importante: forse stavolta ne vale la pena.