Angelo Aparo | 19-07-2005 |
Cara dott.ssa Maria Sodano,
ieri al gruppo della trasgressione c’erano 6 degli studenti di giurisprudenza che hanno collaborato al lavoro per il convegno sulla punizione e molti nuovi detenuti, che si sono iscritti al gruppo da poco. Probabilmente le richieste di iscrizione sono effetto dei buoni risultati del convegno. I detenuti si iscrivono al gruppo sperando che prima o poi ne ricaveranno un permesso ma, via via che vanno avanti, passano da una partecipazione strumentale a un coinvolgimento sempre più sentito e propositivo.
Come d’accordo con te, ho riferito semplicemente del tuo passaggio ad un nuovo incarico e ho poi fatto leggere a un detenuto, Enzo Martino, il tuo messaggio sul sito. L’effetto è stato considerevole: sentirsi apprezzare da una figura istituzionale tanto importante alimenta nel detenuto la fiducia che gli anni più bui possano essere ormai alle spalle.
E’ un dato di fatto che il gruppo della trasgressione, dopo essere stato per anni una iniziativa un po’ anomala, guardata con diffidenza sia dai detenuti (che temevano io volessi estorcere confessioni) sia dagli agenti (che si chiedono ancora adesso cosa diavolo fa il gruppo), oggi è sempre più “trasgressivo”, nel senso che oggi i detenuti che ne fanno parte da tempo hanno imparato a fare riferimento agli obiettivi ideali della legge (cioè la loro evoluzione personale e l’importanza del rapporto con la società).
Non c’è dubbio che l’impegno di questi otto anni non sarebbe approdato a nulla se il dott. Luigi Pagano non avesse permesso la processione di persone che in questi anni sono venute al gruppo dall’esterno e se, due anni fa, non ci fosse stato un magistrato di sorveglianza che, dopo aver portato un temporale, non avesse mostrato interesse e apprezzamento per quello che detenuti e studenti cercavano.
Vorrei cogliere l’occasione per ringraziare pubblicamente le autorità istituzionali, i docenti universitari, gli studenti e i comuni cittadini che con la loro partecipazione motivano il gruppo a costruire mappe e per chiarire sempre meglio agli interessati cosa fa il gruppo della trasgressione.
Voi a questo gruppo avete fatto un sacco di bene e avete fatto un sacco di bene anche alla collettività sociale perché con la Vostra attenzione e il Vostro contributo avete aiutato i detenuti e gli studenti ad avere fiducia nel fatto che il lavoro su se stessi possa essere riconosciuto dalle figure istituzionali come un valore.
Una cosa che –per quanto ne so- gli studi di giurisprudenza non approfondiscono è che tutte le persone che hanno avuto conflitti violenti con i genitori e che non hanno avuto modo di elaborarli (la psicoanalisi oggi è ancora solo un lusso per benestanti) non riescono mai a emanciparsi dai genitori e passano l’intera vita a litigare con le figure che, in qualche modo, vengono identificate come eredi di quelle parentali.
Per chi vive il suo presente sotto l’effetto della violenza vorace che gli ha tolto da piccolo il piacere di giocare col secchiello non esiste la Legge, e meno che mai gli obiettivi ideali della Legge. La loro idea della Legge è assoggettata alla materializzazione della legge che passa attraverso le figure istituzionali che decidono e amministrano la loro pena. Che lo vogliano o no, che lo sappiano o no, i giudici, i magistrati, i direttori del carcere, gli agenti penitenziari sono per i detenuti gli eredi dei loro genitori, cioè l’unica palpabile legge con cui essi sanno dialogare.
Una cosa ostica da ammettere, sia per i detenuti che per i magistrati, è che l’unico modo per emanciparsi dai genitori ed evolversi fino a potere avere un rapporto con gli ideali della legge morale richiede un passaggio irrinunciabile: quello di essere riconosciuti dai genitori. Diversamente, si vive nella nebbia di un rancore che non si estingue e che, anzi, si alimenta ad ogni nuova incomprensione.
La nebbia causa un sacco di incidenti; grazie di cuore a chi contribuisce a diradarla.