Il desiderio del mare

Marcello Lombardi

10-07-2005  

 

L’uomo non può smettere di sognare l’infinito.
Quando egli teme che gli strumenti di cui dispone
per cucire il suo sogno alla terra non bastino
e che mai potrà costruirne di migliori,
smette di cucire e rimane solo,
unico cittadino di un sogno senza meta.
Ma già il raccontarlo riapre la partita.
Angelo Aparo

 

 

 

 

 

 

 

Stanotte ho fatto un sogno, di solito non ricordo quasi niente dei sogni, invece stamattina nella mia mente era rimasto chiaro e anche adesso scrivendo, rivedo la scena nella sua integrità.

Ero seduto su una barca che osservavo il mare. Immobile e incuriosito guardavo quel ritmo di onde che si rovesciavano sulla spiaggia affamate di sabbia e morendo la sottraevano alla terra per poi tornare in mare. Sembrava quasi che acqua e terra, con i loro infiniti incontri, cercassero di formare un nuovo elemento e la spiaggia, che era il punto della loro separazione, mi comunicava dolore.

Ad un tratto dal mare spuntò all’orizzonte un cavallo bianco che veniva galoppando verso la riva. Quando fu vicino a me mi accorsi che sulla groppa c’era un bambino. Il cavallo si fermò dove finivano le onde, il bambino discese e corse verso di me, era bellissimo e i suoi occhi brillavano di una luce radiosa, mi sorrise, mi fece una carezza e mi sfiorò la guancia con un bacio, poi tutto affaccendato incominciò a trasportare con un secchiello l’acqua del mare in una buca che aveva scavato, ma per quanti secchielli vi svuotasse, l’acqua rimaneva uguale, immensa e inalterata.

Di certo non poteva far entrare l’infinito nel finito, ma a me quella sua idea piaceva.

Avrei voluto spiegargli come stavano realmente le cose, ma non riuscivo a parlare e poi i suoi occhi mi esprimevano una pena infinita.

Poi risalì in groppa al cavallo rimasto immobile ad aspettarlo e si allontanò tra le onde del mare. Prima di svanire del tutto alla mia vista mi gridò: “Che tu possa diventare un pesce per sempre”.