IL FARO - Riunione del 23-01-2004 |
L’incontro al Faro di venerdì è cominciato con la lettura di uno scritto di Eric, “urlato” nel cuore della notte:
“Le mie risposte alle domande della vita sono: BOH!. Non perché io non le abbia cercate, ma perché ho risposto in mille modi diversi, credendo sempre di aver trovato le verità assolute. A volte le parole sembrano esprimere così poco! A volte il silenzio può gridare. Come adesso che sto scrivendo, alle quattro del mattino, e che sto urlando, anche se nessuno mi sente, perché le mie parole sono scritte.”
Eric parla delle domande che, in un modo o nell’altro, tutti ci poniamo nella vita, parla di tutte quelle risposte che ha tentato di darsi, ma che ha dovuto riconoscere solo temporaneamente vere, non assolute. Eric parla delle difficoltà che ha incontrato a vivere in un mondo che gli chiedeva di formarsi in fretta come persona; riconosce il valore di quei momenti in cui può fermarsi, riflettere, domandarsi, scrivere, confrontarsi.
“La società impone agli esseri umani di formarsi in fretta. Negli scritti che leggiamo la bellezza sta appunto nella possibilità di fermarsi. Ho sempre fatto fatica a vivere in un mondo che corre.”
Lo scritto di Eric ha stimolato il gruppo a riflettere sul tema della ricerca della “verità” nella vita, una ricerca che accomuna tutti e che può essere portata avanti in modi diversi.
Walter sente che la verità ha molto in comune con la perfezione: entrambe sono mete a cui l’uomo aspira, entrambe spingono l’uomo a cercare, trasformarsi, entrambe sono irraggiungibili perché in continuo movimento.
Livia invece, fa notare come a lei venga più facile porsi delle domande che non darsi o dare delle risposte, perché queste potrebbero essere considerate azzardate o potrebbero venire “maltrattate”.
Umberto richiama poi lo scritto di Silvia e ne legge uno suo, risultato del disagio che lo scritto di Silvia gli ha lasciato:
“Gli animali che Silvia ha citato nel suo scritto, nella mia vita si sono comportati in modo diverso. Il mio leone mi ha aggredito alle spalle, il serpente l’ho cercato io e l’aquila mi ha cagato addosso. Perché Silvia ha scelto questi animali? Perché non ha optato, per esempio, per una scimmia?”
Aparo sottolinea come nello scritto di Silvia sia valorizzato il tema dell’incontro con qualcosa che, pur facendo paura, permette una forma di arricchimento. Ciò che sembra mancare e che forse fa sentire lo scritto distante è quell’elemento prezioso di fragilità, di non-conclusione, di dubbio; "forse manca una figura meno grandiosa, come la formica suggerita da Livia".
Lo scritto di Silvia mi ha stimolato a scrivere. In esso ho visto il mio bisogno di cercare e confrontarmi con ciò che è diverso e che, proprio per questo, permette di costruirmi un’identità. In esso ho visto anche la mia insicurezza e la mia necessità di rifugiarmi quando ne sento il bisogno:
“Ho ancora tanta strada da fare, ma so che se avrò bisogno di sostegno, qualcuno lo sentirà e verrà a farmi coraggio, facendomi scoprire qualche mia risorsa nascosta.”
Ho letto poi il mio scritto, “Il colore degli animali”.
Sin da bambina sono sempre stata una persona curiosa, in continua ricerca. Ricordo che c’è stato un periodo di tempo in cui, alla domanda “Cosa vuoi fare da grande?”, rispondevo con fermezza e decisione: “Mi iscriverò al liceo scientifico e poi andrò all’università perché voglio fare la biologa”.
Mi riempiva di piacere l’idea di poter diventare una scienziata che studia la vita per definizione. Ora sono qua. Non ho fatto il liceo scientifico, ma un semplice istituto professionale, non ho fatto biologia, ma sono iscritta alla facoltà di psicologia.
Sento ancora dentro di me quel bisogno di cercare risposte a una domanda tanto semplice quanto enigmatica: “Chi sono io?”. Walter ha riproposto questo quesito a se stesso e al gruppo; Silvia, io, Eric, Umberto abbiamo tentato di cercare una risposta con i nostri scritti.
Ci siamo trovati tutti d’accordo sul fatto che la propria identità si costituisce nell’incontro con “l’Altro” diverso, nella consapevolezza di tale incontro, e nella capacità che più o meno abbiamo di lasciarci fecondare e nutrire da tale diversità.
Ciò nonostante, ogni persona, per ragioni differenti, può porre tra sé e il mondo, dei muri. A volte l’incontro può essere avvertito come una minaccia, a volte il sentirsi nutriti può trasformarsi in un sentirsi avvelenati. A volte, per chissà quale ragione, viene difficile rapportarsi con alcuni aspetti della realtà, forse perché quelli somigliano tanto a delle parti di noi che non accettiamo.
Mi è capitato spesso di arrabbiarmi moltissimo e di farmi prendere dall’ansia quando, ascoltando una mia amica che mi raccontava i suoi dubbi e le sue incertezze, percepivo la sua insicurezza, la sua fragilità.
Tante volte mi sono arrabbiata con mia mamma, perché non si era fatta valere sul lavoro, perché aveva permesso ad un cliente di prendersi gioco di lei.
Ancora oggi mi accorgo di questo mio atteggiamento anche se in esso sto imparando a leggervi delle reazioni alle mie stesse paure e insicurezze.
Umberto, dopo aver ascoltato il mio scritto, mi ha detto che gli avevo fatto venire in mente la storia di Pollicino, quel bambino alto quanto un dito e che, nella versione che ricordava lui, se ne andava da casa lasciando dietro di sé delle briciole di pane in modo da poter tornare indietro se ne avesse sentito il bisogno.
Umberto mi offre un’immagine di me particolare, da fiaba, che però ha dentro di sé come caratteristica principale, proprio il bisogno di avere una base sicura a cui tornare ed entro la quale proteggersi qualora il viaggio presentasse degli imprevisti.
La risposta alla domanda “chi sono io?” è un viaggio in continuo divenire. Comporta incontri, superamento di muri, in un continuo clima di relatività dove a volte fermarsi, riposarsi e fare ritorno ad una base sicura che ci siamo costruiti diventa essenziale per rimettere insieme i pezzi di noi che, grazie all’incontro con l’altro, abbiamo trovato.
Io sulla mia strada dovrò ancora imparare ad accettare di relazionarmi con altri animali che mi stanno antipatici, come il serpente; Silvia, forse, ha da approfondire il suo rapporto con la formica e Umberto magari troverà un compromesso con il leone che lo ha aggredito alle spalle. Nel fare questo ci possiamo servire di tutti gli animali che abbiamo incontrato precedentemente e degli strumenti che, di volta in volta, la realtà ci offre.
Pietro ha riflettuto poi su come sia imprevedibile il comportamento di un leone, a seconda che esso sia in gabbia o nella foresta.
Aparo ha così posto una domanda a conclusione di questo incontro:
“Pietro ha fatto notare che il leone nella foresta può avere reazioni diverse rispetto a quando è in gabbia.
Il fatto che la realtà di una relazione avvenga fuori dalla gabbia o dentro, rende uno dei due rapporti più vero dell’altro? La realtà della relazione in condizioni di libertà, in assenza di muri, è più vera della realtà che nasce in questa circostanza, in gabbia?
Di solito si fa coincidere la verità di una persona con la sua condizione di libertà (cioè assenza di vincoli e, in particolare delle sbarre del carcere). Eppure mi chiedo: E’ più vero il comportamento del leone in gabbia o nella foresta?
Se si problematizza cosa sia la libertà, allora bisogna problematizzare anche la verità che sta dentro la libertà.”