Riflessioni sul male e cuciture

Redazione

Verbale dalla riunione del 23-04-2007
 

Aparo: come ciascuno dei presenti può implementare il discorso e lo studio del tema che stiamo affrontando?

Gianni: io penso che ognuno può riflettere su qualcosa di specifico, magari un episodio tratto da un momento della propria storia.

Sofia: al femminile abbiamo parlato delle immagini del male e, per quanto mi ricordo, ne è emerso un elemento: il rapporto tra male dentro di noi e male fuori di noi. L’altro è dunque un elemento di confronto.

Un'immagine che ben si associa a quella del male è quella dell’inferno. Esistono due modi per affrontare l’inferno:

  • IN FERO NOS: “portare in noi”, la chiusura completa verso l’altro (che è Dio per antonomasia nella cristianità). Nel Vangelo di Matteo i farisei accusano Cristo di mangiare carne impura e lui risponde che tutto il male che esiste è nel cuore dell’uomo.
  • SARTRE: l’inferno sono gli altri. Il bene si contamina nel contatto con le altre persone.

Livia: anche Calvino diceva che esistono due modi per affrontare l’inferno: uno è diventarne parte fino a non accorgersi di starci dentro, l’altro è cercare chi e cosa sta lì e non è inferno, per farlo vivere e dargli spazio.

Nella mia storia questo sono state le relazioni con gli altri. Nella mia esperienza, quando produco male, lo spazio per altri non esiste.

 

Lecittą invisibili, Italo Calvino
L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abbiamo tutti i giorni, che formiano stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce fatale a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio.

 

Aparo: Qual è il valore di parlare di cose che appaiono tanto distanti dalla nostra esperienza? Attraverso le domande che ci facciamo il gruppo sperimenta il piacere di ritrovare la propria esperienza nelle parole di un detenuto, di uno studente, di uno studioso. Esiste una parentela tra rapine e mele proibite, fra le domande sul tema del libero arbitrio e su ciò che l’uomo fa quotidianamente.

Si parla del peccato originale perché nel peccato originale si riassumono molte delle domande che l’uomo si pone da sempre. Nel peccato originale c’è il desiderio di acquisire in modo facile e immediato un grande potere: l’uomo, mangiando la mela cede all’allettamento di diventare più potente di quanto non sia. Il tema del peccato originale si collega alla problematica del male, del fascino che il male ha su di noi, al tema della scelta, della libertà, persino al nostro tema del giro corto e giro lungo.

Il male è cedere alla seduzione di chi promette potere, all’illusione di potere realizzare le proprie ambizioni seguendo la strada corta. La questione non riguarda un evento che si produce e si esaurisce una volta per tutte, ma la direzione verso cui, giorno dopo giorno, si orienta la conquista del potere personale. Una direzione è quella di cedere alla seduzione di potere essere come Dio, all’allettamento di una fantasia di onnipotenza per poi cadere nella condizione di chi soffre per avere perso qualcosa senza la quale non si è più se stessi (La propria ombra, il riflesso nello specchio di Baldovino studente di Praga).

La possibilità di ripartire dal peccato originale, in un certo senso, è un regalo che Dio fa all’uomo. Il regalo delle condizioni necessarie per guadagnarsi la vita e la libertà. Senza il lavoro sulla seduzione esercitata dal male, cioè sul desiderio di essere onnipotente e di potere ottenere lo scettro dell’onnipotenza in virtù di un oggetto magico (una mela, un ritratto di Dorian Grey, un borsellino cacasoldi, una pistola in mano per decidere cosa fare della vita di un altro) è come se l’uomo si trovasse proprietario di un regalo (la vita) che gli permette di esistere senza che egli ne sia nemmeno cosciente. Sembra quindi che questo evento simbolico, questo mito del peccato originale promuova il passaggio da un uomo esistente unicamente come prodotto di Dio all’uomo che diventa coautore del proprio cammino (Il dono perfettamente gratuito è l'arma fondamentale che ci annulla, ci toglie la parola, ci mette in silenzio. M. Cacciari). L’uomo, senza il lavoro sulle sue spinte contrastanti, non può diventare un individuo.

Ma a noi cosa ce ne frega di queste cose? Ci interessano perché ognuno di noi, volente o nolente, si trova ogni giorno a dovere scegliere fra, da un lato, la seduzione di raggiungere i propri obiettivi oltrepassando in un colpo solo il confine fra la terra dei limiti e il mondo incantato e, dall’altro, il lavoro che permette di superare progressivamente i limiti attraverso una relazione allargata col mondo.

Fra gli obiettivi del gruppo c’è abituarsi a tessere pensiero mettendo assieme l’esperienza personale con quello che ci consegna la storia dell’uomo, dei suoi risultati e dei suoi errori.

Leopardi in un passaggio delle "Operette morali" diceva che anche di fronte agli errori più gravi di un altro uomo, gli era possibile ogni volta di trovare dentro di sé qualcosa che potesse richiamare quel comportamento. Da parte mia, aggiungo che il giorno in cui non si riuscisse a trovare nessun punto in comune fra sé e l’attore del male, più che rallegrarcene, sarebbe il caso di chiederci se la nostra capacità di osservare sia ancora integra.

Livia: ho pensato al tema dell’adolescenza e a Charmet che ne parla come un periodo in cui si scopre di essere limitati e di poter morire. Per questo gli adolescenti sfidano la morte, per provare a se stessi che l’età dell’oro non è ancora finita. L’importanza della speranza di avere un futuro (la banda è un gruppo che ha perso la capacità di pensare al proprio futuro).

Maurizio: a 15 anni feci il mio primo viaggio in Pakistan per comprare della droga; mi sentivo al di sopra di molti, mi affascinava essere più furbo, più potente, mi sembrava di avere 30 anni, di essere un imprenditore.

Enzo: sono stato proprietario del male per essere stato schiacciato nell’impotenza a causa di fattori sociali e familiari di deprivazione. Se non avessi avuto figli e la possibilità di riflettere quel male lo coverei ancora oggi. Essere in quella situazione in fondo mi conveniva, stavo bene; poi la convenienza è stata quella di cambiare percorso per evitare ai miei figli di portare dentro quello che dentro ho avuto io.