Abitare Spazi Transizionali
dal carcere alla creazione di sé

Tiziana Pozzetti, Antonio Tango

22-03-2011  

Riflessioni a partire dal seminario
“Cosmologie violente, percorsi di vite criminali”
e da un'esperienza presso il Gruppo della Trasgressione

Oggi è un Sabato particolare, da due anni ormai mi sono abituata a trascorrere i miei Sabati a San Vittore presso il Gruppo della Trasgressione, un gruppo che da 14 anni opera nelle principali carceri Milanesi. Oggi però il Gruppo non c'è. In compenso ho partecipato al seminario organizzato dall'Istituto di Psicoterapia del Bambino e dell'Adolescente – PSIBA, dove Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali hanno parlato di una delle loro esperienze in carcere, partendo dalle teorizzazioni del criminologo statunitense Lonnie Athens (Ceretti A. e Natali L., 2009). Cosa mi porto a casa da questo incontro?

All'inizio del seminario è stata introdotta la teoria sulla base della quale Ceretti e Natali hanno operato. Inizialmente è stato difficile muoversi all'interno di una terminologia molto particolare e di difficile comprensione per chi non ha dimestichezza con le tematiche trattate. Progressivamente però la mia attenzione si è sintonizzata non solo sulla “forma” delle parole dette, ma su quello che queste parole volevano comunicare e sui sentimenti, i ricordi e le emozioni che mi suscitavano. In questo modo, pur non essendo una criminologa e non avendo studiato giurisprudenza, sono riuscita anche io, che ho una formazione più “psico”, a portarmi a casa qualcosa con cui arricchire il mio percorso e le mie riflessioni.

 

LA COMPAGNIA DELLA LUCCIOLA E L'AUTOMATISMO DELL'URAGANO

In primo luogo mi ha colpito il concetto di cambiamento drammatico di sé collegato al fenomeno della frammentazione della cosmologia violenta. Sembrano parole difficili. Tuttavia, udendole, mi sono concentrata soprattutto sul volto che progressivamente emergeva dentro di me. Il volto di Antonio Tango. Pensavo al suo travagliato percorso al Gruppo della Trasgressione, fino a quel fatidico giorno in cui è entrato nella stanza, dove eravamo riuniti, e con orgoglio ha detto “ho fatto uno scritto”. Si trattava de “La guerra dei due mondi” (Tango A., 2009).

La possibilità per Antonio di narrarsi all'interno di un gruppo che per la prima volta, dopo anni di carcerazione, gli permetteva di essere riconosciuto per quello che era, nell'insieme della violenza del suo rancore ma anche delle sue parti più fragili, gli ha consentito di superare il bisogno di una comunità fantasma che lo riconoscesse per il potere suscitato dalla sua pistola, dalla sua arroganza e dalla sua onnipotenza. Il potersi esprimere liberamente ha permesso ad Antonio di prendere le distanze dalla profezia paterna. Un padre che non lo ha mai riconosciuto e che non gli ha permesso di interiorizzare la fiducia necessaria per raggiungere un'armonica autostima e per diventare una persona adulta e capace di amarsi nella propria unicità. E' necessario avere una guida credibile per passare da un narcisismo immaturo, connotato da una “fame d'oggetto”, ad un narcisismo maturo che consente di amare l'altro non per una mancanza di una propria struttura o funzione, come sottolinea Resta (2010), ma bensì per la piacevolezza delle reali caratteristiche dell'altro, con la possibilità di stare anche da soli senza la paura di disintegrarsi.

Il Gruppo della Trasgressione è diventato progressivamente per Antonio una nuova, e questa volta positiva, comunità fantasma, destinataria di un soliloquio sempre più conflittuale. In una lettera di tre pagine datata 7 Giugno 2009 Antonio mi scrive: “Ricapitoliamo, da una parte c'è questa Lucciola, che ora è in compagnia, e vuole essere lei ora a condurre il gioco, dall'altra parte c'è l'automatismo di un modo di pensare che ha dalla sua parte 35 anni, confronto ad 1 anno della Lucciola. Già qui la proporzione dà per perdente la Lucciola. Poi devi mettere in conto che, a parte quei dolci momenti che sono in vostra compagnia, qui in carcere tutti i giorni devo lottare, ma lottare nel vero senso della parola, contro l'Uragano che mi circonda. Non ti dico quante, ma quante volte ho pensato di non farcela, e non ti nascondo che ancora adesso ogni tanto mi viene da pensare che l'Urgano mi possa portare di nuovo via.... Ma poi eccola, che la Lucciola ritorna a martellarmi nel cervello, e vedo mio figlio che mi aspetta fuori dal carcere, allora la forza come per magia mi ritorna quintuplicata” (Tango A, 2009, non pubblicato).

L'apertura di questo conflitto interiore e la possibilità di mantenerlo aperto nel tempo (che è forse la cosa più difficile visto le statistiche delle recidive), è il risultato di un percorso che ha richiesto sudore e fatica. Ma cosa c'era prima del conflitto? Dov'era la Lucciola quando Antonio, con in mano una pistola, minacciava la vita degli altri? Cosa raccontava a se stesso quando la puntava contro un altro uomo?

 

LA CORAZZA E IL VIDEOGIOCO

Tra i “meccanismi di disimpegno morale” individuati da Albet Bandura nel 1986, vi è la deumanizzazione della vittima. Si tratta di un meccanismo cognitivo che consente ad un essere umano di giustificare a se stesso l'attuazione di un comportamento, generalmente violento, a danno di un altro essere umano. E' un meccanismo spesso utilizzato in guerra quando si attribuisce al nemico una totale assenza di sentimenti, impedendo così l'immedesimazione empatica con la sua sofferenza nel momento in cui si è costretti a fargli del male.

Il detenuto che entra in una tabaccheria con in mano una pistola sta utilizzando quell'arma come se fosse un Joystick con il quale decidere chi deve vivere e chi deve morire. Le “vittime”, private del loro status di esseri umani, diventano così delle pedine di un videogioco: ostacoli al raggiungimento dei propri obiettivi, o bersagli da sottomettere per ribadire la propria onnipotenza (Aparo, 2009).

Da un certo punto in poi si producono le condizioni per cui l'individuo si trova talmente immerso in una logica di prepotenza e sopraffazione, che indossare una corazza con la quale autoimmunizzarsi dalla sofferenza e dai sentimenti considerati “deboli”, diventa l'unico modo per sopravvivere in una giungla dove vige la legge del più forte. Inoltre, dal momento che, indossata la corazza, non è più possibile accedere ai propri sentimenti, ancora più difficile sarà riconoscere tali sentimenti nell'altro.

Oggi che le neuroscienze hanno individuato una specifica popolazione di neuroni, i neuroni a specchio (Rizzolatti, 2006), addetti al riconoscimento empatico delle emozioni altrui, sarebbe interessante indagare se l'attività di tali neuroni può essere alterata o “anestetizzata” dall'esposizione a situazioni di violenza e deprivazione. Di sicuro sappiamo che deprivazione e violenza possono innescare sentimenti e indurre stili di vita che consentono progressivamente di “dimenticarsi” degli altri in una escalation della propria onnipotenza.

Ma cosa succede se in un tale panorama avviene un incontro con qualcosa o qualcuno che introduce una perturbazione della consueta dinamica di gestione del conflitto? E' possibile creare un ambiente all'interno del quale il detenuto possa sentirsi finalmente libero di lasciare la propria corazza per riprendere contatto con le emozioni positive che vi teneva nascoste dentro?

 

IL DOPPIO NELLA GUERRA DEI DUE MONDI

Tornando ad Antonio Tango, mi sembra di poter dire che l'incontro con il Gruppo della Trasgressione, il confronto con le persone che lo frequentano, laureandi, neolaureati in psicologia, filosofia e giurisprudenza e il dialogo continuo con i ragazzi delle scuole medie superiori ospiti al Gruppo, gli ha consentito di aprire quel processo di “frammentazione della cosmologia violenta” a seguito del quale Antonio si è trovato a fare i conti con l'emergere di una nuova immagine di sé.

Tale immagine stride però con l'idea che Antonio, in tutti questi anni di delinquenza, è andato costruendo di se stesso. In questo senso Antonio parla da una parte di una “Lucciola” che si è venuta formando nell'interazione con i membri del Gruppo, e che vorrebbe emanciparsi dalle vecchie logiche di potere, e dall'altra parte di un “Uragano” che vorrebbe invece mantenere immutato lo stato delle cose, resistendo con forza al cambiamento.

Si produce così uno sdoppiamento, “alle due figure del Doppio viene delegata la funzione di veicolare, incarnandola, la conflittualità fra spinte emancipative e regressive [...]. Si evidenzia con ciò la duplice funzione della figura del Doppio: da un lato preservare le parti narcisistiche dalle spinte maturative; dall'altro rappresentare del soggetto e per il soggetto la presenza delle parti stesse” (Aparo A., 1986).

E' proprio nel momento in cui le due parti entrano in conflitto che si produce una vera e propria “guerra dei due mondi”. Di seguito un estratto del dialogo tra Lucciola e Uragano (Tango A., 2009), avvenuto all'interno di Antonio Tango una sera mentre in cella si stava preparando per dormire:

Uragano: Finiscila e dormi, che è meglio per te!
Lucciola: Perché? Che fai? Mi spari?
Uragano: Ti ho detto di finirla! Stai superando i limiti.
Lucciola: Guarda che non attacca più, non mi fai più paura!
Uragano: Visto che fai sul serio, ti ricordo che sono io che comando, non tu. Io sono il più forte!
Lucciola: Sììì…Sei forte quando hai la pistola in mano e…
Uragano: Ah no! Questo non lo puoi dire. Sono forte anche senza. Poi ti sei dimenticato che è grazie a me che sei diventato potente… e puoi fare tutto quello che vuoi… e sei rispettato da tutti?
Lucciola: Quello non era il rispetto ma soltanto la paura di me.
Uragano: Di noi vorrai dire, visto che il merito è tutto mio.
Lucciola: Per me te lo puoi tenere tutto tu il merito. Preferisco essere rispettato per quello che realmente sono e per quello che faccio, non per paura.
Uragano: Beh! Cosa te ne frega? Adesso mi fai anche la morale, però quando abbiamo preso l’accordo, tutte queste paranoie non te le facevi.
[…]
Lucciola: Voglio essere me stesso
Uragano: Ma non farmi ridere, ti sei dimenticato quando piangendo ti sei rivolto a me, dicendomi che tutti ti prendevano in giro e ti creavi i tuoi complessi d’inferiorità? Io ti ho dato il potere come d’accordo; rispetta il patto che abbiamo fatto.
Lucciola: E’ vero, avevamo fatto un patto, io ti facevo fare quello che volevi in cambio del potere e anche di aiutarmi a crescere.
Uragano: Beh? Non è stato così?
Lucciola: No! Non è stato così, tu mi hai mentito, ti sei dimenticato apposta di dirmi che mi avrebbero accoltellato, sparato e fatto fare più di sedici anni di galera…e che mi ritrovo ancora qui!
[…]
Uragano: Cazzate! Piaceva anche a te sentirti come un Dio!
Lucciola: L’ho detto, mi piaceva, ora quello che mi piace è Michael.
Uragano: Lui che c’entra?
Lucciola: Come, Lui che c’entra….Vedi, sei talmente egoista che non ti accorgi che lui sta soffrendo per delle colpe che non ha.
Uragano: Ma se ha due anni! Cosa vuoi che capisca…
Lucciola: Lui capisce meglio di te ed ha bisogno di me.
Uragano: Ci penso io, non preoccuparti, faccio un paio di rapine e gli…
Lucciola: Ma che dici! Non posso credere che tu sia così cinico da pensare che lui voglia degli oggetti.
Uragano: Ma non gli farei mancare niente!
Lucciola: Gli stai facendo mancare la cosa più importante per lui, la mia presenza, la mia sicurezza, per farlo crescere sicuro di sé. O vuoi che cresca come noi?
Uragano: Noooo! No! Questo non lo voglio assolutamente.
Lucciola: Allora per una volta ascolta me. Prima di tutto dobbiamo far sì che nostro figlio cresca sicuro di sé e delle sue forze. Non dobbiamo assolutamente trasmettergli le nostre paure, lui deve diventare l’uomo che noi non siamo stati in grado di essere. Ma non posso riuscire a fare questo senza il tuo aiuto. Ho bisogno di te, perciò ora sono io che ti dico: scegli!
Uragano: Ma tu mi stai… è difficile…
Lucciola: Lo so che è difficile, ti giuro che è la scelta giusta e che non ti sto nascondendo niente: te lo ripeto, non posso farcela senza di te, ho assolutamente bisogno di te. E anche Michael.
Uragano: Mah!… Mah!
Lucciola: Ancora con questi mah, mah! Lo so anch’io che non è facile, cosa credi? Però ti posso garantire che non mi arrenderò più tanto facilmente, che lotterò con tutte le mie forze! Deciditi!
Uragano: Va bene, voglio vedere come te la cavi… l’obiettivo sarebbe farmi diventare me stesso?
Lucciola: No! Noi diventiamo “me stesso”, insieme. Non più divisi.
Uragano: Adesso dormiamo. Buonanotte.
Lucciola: Buonanotte.

Mi sembra che tale dialogo rappresenti un buon esempio di frammentazione di una cosmologia violenta che porta ad un cambiamento drammatico di sé in senso positivo, verso un'integrazione più matura ed equilibrata delle diverse spinte che albergano dentro di noi e con cui è necessario imparare a dialogare.

 

SPAZIO POTENZIALE E ZONA DI SVILUPPO PROSSIMALE
IL GIOCO NELLA CULTURA

Nell'uomo autentico si nasconde un bambino che vuole giocare
Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, 1885

Verso la conclusione del seminario sulle Cosmologie Violente, Ceretti afferma che è necessario creare “spazi dove far emergere la riflessività che è soffocata, perché oggi non c'è più tempo e non abbiamo più voglia di ascoltarci reciprocamente”.

Abbiamo bisogno di spazi che consentono agli individui di aprirsi al confronto con l'altro senza la paura di un giudizio. Spesso infatti concentriamo la nostra attenzione e le nostre energie nella ricerca della “buona prestazione” dimenticandoci come si fa a giocare. Secondo Winnicott giocare è una modalità di agire. Il giocare creativo comporta l’uso dei simboli, e tutto ciò alla fine porta alla vita culturale (Winnicott, 2006).

Il gioco è l'ambiente necessario per far emergere la creatività che consente di crescere in modo sufficientemente sano ed equilibrato. La mancanza di creatività porta l'individuo a mettere in atto schemi ripetitivi improntati alla coazione a ripetere, “quando il gioco non è possibile, allora il lavoro svolto dal terapeuta ha come fine quello di portare il paziente da uno stato in cui non è capace di giocare a uno stato in cui ne è capace” (Winnicott, 2006).

Ma anche le persone che sanno giocare, dove possono giocare quando diventano grandi?

Frequentando da un paio di anni il Gruppo della Trasgressione nelle carceri di Milano e all'esterno del carcere, ho progressivamente maturato l'idea che si tratta di una di quelle esperienze culturali all'interno delle quali ci si può divertire a giocare con la propria creatività. O si impara a giocare se ancora non si è in grado di farlo.

La possibilità di produrre cambiamenti duraturi e profondi (nei detenuti, ma anche nei membri esterni che frequentano il Gruppo) è possibile perché il lavoro svolto al gruppo si articola su due piani complementari. Da una parte permette a ciascun individuo di riattivare uno “spazio potenziale”, in senso Winnicottiano (2006), all'interno del quale recuperare la fiducia, e di conseguenza la possibilità di essere creativi. Contemporaneamente, sul piano cognitivo, il gruppo fornisce gli strumenti per colmare la “zona di sviluppo prossimale”, così come postulata da Vygotsky (1990).

Secondo Vygotsky la “zona di sviluppo prossimale” rappresenta quello scarto tra lo sviluppo che il soggetto ha raggiunto e lo sviluppo potenziale che potrebbe ancora raggiungere. L'autore sostiene inoltre che tale scarto è colmabile nel momento in cui il bambino, ma lo stesso vale per l'adulto, entra in relazione con altri individui che hanno raggiunto un livello di competenza maggiore. Non si tratta però di un asettico passaggio di informazioni da “chi ne sa di più” a “chi ne sa di meno”. Ciò che rende realmente possibili l'acquisizione e l'integrazione di materiale nuovo nelle proprie conoscenze è l'investimento che viene fatto su chi possiede la nuova informazione, struttura o funzione che, per chi apprende, viene a configurarsi come qualcosa di piacevole e desiderabile ma mancante. “L'acquisizione di ogni nuova funzione o struttura”, afferma Resta (2010), “non è semplicemente dettata dall'istinto, ma acquisita attraverso la relazione narcisistica tra il Sé e la persona adulta che la possiede, e quindi la successiva interiorizzazione della stessa nel Sé”. Al Gruppo della Trasgressione sono quindi le reciproche relazioni che si intrecciano sul piano emotivo ed affettivo che inducono in tutti coloro che ne fanno parte, compresi i detenuti, il desiderio di darsi da fare, di imparare, di crescere, di acquisire le parole, le conoscenze, le funzioni, necessarie per rapportarsi sempre più e sempre meglio con gli altri membri del gruppo, che diventano così importanti compagni di gioco.

Winnicott (2006) individua lo spazio del gioco e dell'attività culturale in uno “spazio potenziale” che nell'infanzia è lo spazio tra il bambino e la madre. Oggi diremmo tra il bambino e il suo caregiver. La mancanza di questo spazio produce sfiducia nel mondo, incapacità di accedere ad un equilibrato sviluppo di sé e difficoltà a provare piacere per ciò che si fa e per la vita in generale.

Il Gruppo della Trasgressione viene a configurarsi come uno spazio transizionale all'interno del quale, quei fenomeni che per i pazienti psicotici sono vita e morte, vengono amministrati e utilizzati per dar piacevolezza alle esperienze di crescita e alla propria esistenza. Secondo Winnicott infatti, l’assenza di malattia psiconevrotica, può essere sanità ma non è vita. Al Gruppo della Trasgressione lo stesso fenomeno viene letto da molti punti di vista in quanto confluiscono al gruppo esperti e cultori di varie discipline che vanno dalla psicologia, alla filosofia, alla giurisprudenza, all'arte, alla letteratura, alla musica. La possibilità di guardare un fenomeno da un'ottica multidisciplinare porta ricchezza e richiede alle persone di impegnarsi per integrare in una visione unitaria e coerente l'apporto di ciascuno. Ma nel momento in cui si tenta una tale integrazione, si sta già giocando con le idee, con le riflessioni, con le possibilità, con le ipotesi.

Ciascuno sceglie il linguaggio che gli si confà maggiormente per apportare il proprio contributo che inevitabilmente prende spunto dalle proprie esperienze ed emozioni. Ecco allora che di volta in volta c'è chi porta un disegno, chi una poesia, chi improvvisa una scenetta, chi canta una canzone, chi scrive e chi parla. Si crea così quello spazio potenziale di cui parla Winnicott all'interno del quale ciascuno a modo proprio si nutre della ricchezza degli stimoli portati dagli altri e viene a sua volta stimolato a partecipare alla vita del gruppo mettendo qualcosa di proprio. Questa condivisione emotiva e culturale alimenta la fiducia e restituisce il piacere di vivere, di colorare il mondo e di giocare con gli altri a “trasgredire” in modo costruttivo quelle realtà che imbrigliano il pensiero e imprigionano le persone nelle loro coazioni a ripetere.

 

UNA QUESTIONE DI CONDIVISIONE E DISTANZE

Vorrei concludere facendo riferimento ad una delle prime cose che sono state dette durante il seminario di oggi riguardati la vita di Lonnie Athens. Athens trascorre la propria giovinezza in un quartiere malfamato, continuamente esposto alla violenza di un padre che nella sua teorizzazione adulta definirà “addestratore violento”. Tuttavia non diventa un delinquente.

Nello scambio di comunicazioni che avviene con i detenuti, capita spesso che la reciproca comprensione sia possibile grazie ad una matrice comune sulla base della quale diventa facile confrontarsi. Non credo che esistano persone “buone” e persone “cattive”: male e bene convivono in ogni individuo. Ciò che ci differenzia gli uni dagli altri è il modo in cui riusciamo ad amministrarli e ad integrarli in forme sufficientemente armoniche.

Quando i detenuti abbandonano la loro corazza, quando accedono ad uno spazio riflessivo e iniziano a parlare di sé, le persone “esterne” cominciano ad individuare dei punti in comune con la propria storia. Spesso questo è destabilizzante. Si fa appello immediatamente alla necessità di “mantenere le distanze”, non confondersi con l'altro, rispettare i propri ruoli. Come se si faticasse ad accettare, su un piano meno razionale, la possibilità che sentimenti, esperienze e ricordi antichi, ci accomunano a questi “mostri”. Diventa difficile accettare che dentro di noi ci sono spinte distruttive e voraci tanto quanto è difficile accettare che un tempo, quando era bambino, il detenuto ergastolano ha condiviso con noi la passione per Zorro e per gli altri supereroi che salvano il mondo.

Mi diverte pensare che se Lonnie Athes e Antonio Tango si sedessero ad un tavolino a chiacchierare, scoprirebbero forse che le loro storie si somigliano, più di quanto sia lecito supporre. Scoprirebbero che utilizzano parole simili per descrivere l'assenza di un padre che si è sottratto al proprio ruolo. La giusta distanza è quella che consentirebbe loro di sfruttare la propria esperienza per comprendersi vicendevolmente senza però confondersi l'uno nell'altro e che consentirebbe loro di valutare i diversi percorsi che hanno portato l'uno a diventare criminologo e l'altro criminale, senza però il bisogno di negare i tratti comuni.

Concludo con un intervento di Lella Costa ad uno dei convegni tenutosi un paio di anni fa presso il carcere di Opera. Per l'occasione il Gruppo della Trasgressione si era interrogato insieme al pubblico, e insieme ai detenuti, sulle “scelte” che, passo dopo passo, conducono in carcere o al contrario conducono altrove: “Non dobbiamo puntarci troppo su una risposta. Mi viene in mente quella frase “quando imparammo tutte le risposte... ci cambiarono le domande!”. Allora impariamo a cambiare la domanda! a guardare le cose da altri punti di vista. Io in quel pensiero vigliacco ci vedo anche un “pensiero stupendo”, un piacere. Magari io stessa non sono dentro a questo carcere solo perché mi hanno attratto “altri” pensieri stupendi, meno pericolosi, meno trasgressivi” (Costa L., 2009).

 


Bibliografia

Aparo A. (1986) Dal persecutore al compagno segreto. In: FUNARI E. Il Doppio. Cortina, Milano, pp. 75-97.

Aparo A. (2009) Il joystick e le forze alleate.
http://www.trasgressione.net/pages/Gruppo/Myname_myproject/Aparo.html

Bandura A. (1997) Riflessioni sul disimpegno morale. In: CAPRARA V. (a cura di), Bandura, Franco Angeli, Milano, pp. 23-41.

Ceretti A. e Natali L. (2009) Cosmologie violenti – percorsi di vite criminali. Cortina, Milano.

Costa L. (2009) Atti del convegno: Le microscelte - Come rovinare la vita degli altri e la propria a poco a poco e quasi senza rendersene conto. Casa di reclusione di Opera, 19 Maggio 2009, http://www.trasgressione.net/pages/Gruppo/Scelte/Convegno_Opera.html.

Resta D. (2010) Narcisismo e relazione oggettuale. In: MANCUSO F. e RESTA D. L'adolescente in persona. Mimesis, Milano-Udine, pp. 67-78.

Rizzolatti G. e Sinigaglia C. (2006) So quel che fai, Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Cortina, Milano.

Tango A. (2009) La guerra dei due mondi. http://www.trasgressione.net/pages/Gruppo/Doppio/Guerra_dei_mondi.html

Winnicott D.W. (2006) Gioco e realtà. Armando, Roma.

Vygotskij L. (1990) Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche. Laterza, Roma-Bari.