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GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE

Erika Riva

Riunione del 19-04-2003


L’incontro si apre con la lettura di uno scritto di Enzo che riprende concetti di un incontro precedente. Enzo sottolinea il ruolo delle condizioni ambientali, economiche, sociali e affettive nel dirigere ed influenzare la vita di una persona, specie nei suoi aspetti trasgressivi. Un ambiente deprivato e aggressivo, non solo “spinge” il bambino a comportarsi nello stesso modo (perché l’aggressività è l’unico linguaggio che conosce e che ha sperimentato), ma lo depriva anche degli strumenti necessari per interagire, comunicare con gli altri e con se stesso. Vengono a mancare la fiducia nel prossimo e la capacità di immedesimarsi negli altri, di percepire ciò che li può ferire.
E questo contribuisce alla messa in atto di azioni devianti.

Ivano individua un modo parallelo di trasgredire: violare dei codici interni, delle norme autoimposte, che però non recano danno a terzi (es. ubriacarsi).
In ogni caso, che si faccia del male a qualcuno o che ci si autodanneggi, emerge la connessione tra esperienze traumatiche presenti e passate: la ferita subita (es. maltrattamento) può venire riproposta anche in chiave metaforica, con comportamenti a rischio sia per gli altri che per se stessi.
Non c’è una causalità lineare e diretta tra danno subito e arrecato: non necessariamente se sono stato picchiato da bambino, picchierò a mia volta da adulto; ma è molto probabile che l’aggressività (verso gli altri o verso me stesso) diventi una componente dominante delle mie azioni.

Dino, in accordo con quanto dice Enzo, sottolinea l’importanza fondamentale della conoscenza come fattore preventivo della trasgressione: "pur avendo avuto un’infanzia difficile, se nel corso della vita riuscirò ad acquisire gli strumenti adatti per agire positivamente sulla realtà, potrò evitare l’atto deviante". La conoscenza acquisita (ad esempio attraverso figure di riferimento alternative a quelle carenti) può fare da freno alla trasgressione.
Non si possono rispettare i diritti altrui se non si sa di avere diritti”.
La conoscenza di cui parla Dino non è di tipo strettamente cognitivo, si basa piuttosto sulla percezione dell’altro come “essere”, con sentimenti e diritti precisi, che noi parimenti abbiamo. E’ una conoscenza che già verso i 15 anni dovrebbe essere delineata.

Aparo sottolinea a sua volta che conoscere è sì molto importante, ma non bisogna correre il rischio di separare nettamente raziocinio ed emozioni; la vita è fatta di esperienze che non distinguono il piano del conoscere da quello del sentire, anzi la conoscenza coinvolge tanto i processi cognitivi quanto quelli affettivi. Allo stesso modo i diritti non si conoscono, si sentono; e verranno percepiti in modo diverso a seconda delle esperienze di vita incamerate. Ecco che il filtro delle esperienze personali può fare apparire lecito ai miei occhi qualcosa che per un altro lecito non è.

La capacità di immedesimarsi nell’altro appare fondamentale; ma è possibile che un eccesso di responsabilità verso il prossimo possa portare a trasgredire?
Più o meno all’unanimità rispondiamo di sì: è il caso del suicida, che non sa far fronte alle responsabilità della vita, percepite come schiaccianti, o del padre di famiglia che per proteggere i figli da un’aggressione in discoteca uccide due persone (vedi tesina di Lisetta del primo convegno).

Cambiando argomento Livia ci riassume i contenuti degli ultimi incontri con la dottoressa Gasparini (Beccaria); si parla in particolare di adolescenti devianti ed opere d’arte: l’adolescente che non ha i mezzi per esprimere i propri problemi e le difficoltà che incontra crescendo finirà per agirli con comportamenti trasgressivi. Compito dell’operatore è quello di guidare il ragazzo all’acquisizione delle capacità necessarie per riuscire a rappresentare il proprio mondo interiore ed esprimerlo con atti non devianti.
Anche l’artista attraverso l’opera d’arte comunica conflitti e vissuti interiori ovviamente in modo non lesivo verso terzi. Ad esempio ne ”La disperazione“ di Munch un uomo solo –l’artista- cerca di gridare il proprio dolore per non riuscire a comunicare con il mondo –due figure lontane nel dipinto-. Ecco che la società da amica quale dovrebbe essere, si può trasformare in nemica.

L’osservazione del dipinto può avere un valore catartico per il fruitore che si immedesima in un personaggio del quadro e interpreta la scena sulla base dei vissuti personali.
Per questo la lettura di opere d’arte viene proposta come “trattamento” sia per l’adolescente deviante, che per l’operatore che lo segue; l’adolescente in questo modo imparerà a tradurre il disagio in parole e l’operatore sarà portato ad esprimere le problematiche inerenti la sua relazione con il ragazzo.

Si parla poi del gruppo e di come, via via che il gruppo conquista nuovi spazi operativi, per i suoi singoli membri diventi sempre più difficile tirarsi indietro, rimanendo seminascosti. Questa partecipazione se da un lato è sentita come una benefica spinta propulsiva, dall’altro è anche temuta in quanto destabilizzante.

Il gruppo richiede partecipazione, implica cambiamento e spesso questo si scontra con le parti di noi più restie a modificarsi, vuoi per conformazione caratteriale o altro.
Partecipare al gruppo vuol dire mettersi in gioco e pian piano lasciare cadere le corazze che ci proteggono (ad es. dal compromettersi parlando in pubblico). Questo non sempre è facile anzi, a volte è doloroso e faticoso.
Al termine dell’incontro la tematica del gruppo è rimasta aperta, ancora da esplorare.