La prima volta


Fabio Licciardi

05-06-2004  

Come raccontare la giornata di sabato?
Le emozioni provate sono state indescrivibili, ho sempre pensato a mettere piede fuori, ma non avevo mai immaginato quello che poi ho provato. Guardo la strada alle mie spalle, assaporando ancora quei meravigliosi momenti, e mi rendo conto di aver dimenticato i colori della vita.

Credo che le emozioni provate siano irripetibili, ho la certezza che le porterò con me tutta la vita. Nonostante il timore che ho provato nei primi momenti al mio arrivo, ma che comunque ha contribuito a tenermi con i piedi per terra, sono riuscito ad assaporare ogni cosa. Ripercorro le emozioni di ogni istante passato al convegno; ormai messi nel ripostiglio i sogni che in questi anni mi hanno aiutato a non spegnermi completamente, sostituiti dalla vera realtà.

Vorrei trovare le parole per spiegare le emozioni di quel giorno, spero che le mie solite difficoltà ad esprimermi non tradiscano il mio pensiero. Appena sceso dal furgone un brivido di freddo mi dà la consapevolezza di avere messo i piedi fuori dal carcere. Come raccontare quel magnifico momento? Come descrivere le facce stupite dei miei amici, quando mi hanno visto sorridere e chiudere gli occhi per la troppa luce?

Ancora più difficile o impossibile descrivere la mia felicità, trovarmi in compagnia dei miei amici, l’imbarazzo di quando ho parlato a quei ragazzi che si confondeva con il desiderio di farmi comprendere. Ascoltavo gli interventi senza capire esattamente cosa stessero dicendo, troppo lo smarrimento per concentrarmi su quello che stava accadendo. Mi ricordo la paura nel momento in cui pensavo che Aparo avrebbe potuto chiamarmi a parlare; mi sono fatto accompagnare a fumare una sigaretta fuori.

Appena accesa la sigaretta, arrivò la Prof.ssa Tirelli, che mi fece compagnia parlandomi con la sua decisione e dolcezza, riuscì a farmi dimenticare la tensione che avevo provato. Al mio ritorno presi posto vicino a Dino, per chiedergli aiuto se fossi stato chiamato ad intervenire, ma quando gli chiesi di farsi avanti al posto mio ricevetti un bel rifiuto.

Finalmente arrivò il momento della pausa, un po’ di respiro, l’aula si stava svuotando ed anche noi ci siamo avviati verso l’esterno per mangiare un panino. Mentre percorrevo la sala mi sentii afferrare alle spalle, era Cosimo, il suo gesto è stato il primo a riempirmi il cuore; subito dietro di lui Livia, che mi salutò con un sorriso che solo lei è capace di fare, poi Marta con la sua dolcezza e via, via tutti gli altri: Giovanni, Rossella, Luca. Non riuscivo a vedere Antonella, con lo sguardo la cercavo perché volevo condividere anche con lei quei momenti. Livia mi rassicurò, Antonella sarebbe arrivata al più presto!

Appena uscito trovai un sacchetto che Dino aveva portato con dei panini e un caffé. Arrivato fuori dal cancello, Silvia mi disse che era contenta di vedermi fuori, nuove emozioni si aggiunsero a quelle che già provavo. Lì nel cortile, una marea di ragazzi, la scorta dopo un po’ di incertezze decise di farci mangiare i panini in un angolo del cortile situato dietro alla sala del convegno. Mangiare il panino non fu un impresa facile, infatti l’unica fame che avevo era quella di vedere le persone, i rumori ed i profumi che quell’angolo di cortile mi dava. Poi ancora volevo vedere i miei amici, parlarci per sentirmi bene!

 

Papaveri, Livia

 

Ho bevuto solo il caffé, nel frattempo arrivò una giornalista, mi chiese una marea di cose, che naturalmente non sono riuscito a capire. Finalmente arrivarono le ragazze, il solo vederle mi faceva sentire bene. Mi ricordo quando dissi alle ragazze che non avevo capito le domande della giornalista, loro mi guardarono con quelle loro facce, mi fecero comprendere che non aveva alcuna importanza, aiutandomi così a non sentire altri pesi oltre a quello che già il mio macigno comporta.

Dopo pochissimi istanti mi ritrovai a parlare con la giornalista, a cui per la cinquantesima volta dissi: “E’ la prima volta che metto il piede fuori dopo sette anni!”, praticamente non riuscivo a dirle altro che questo.

Il mio ricordo riparte dall’istante che presi nuovamente posto a sedere, non ho avuto nemmeno il tempo di preoccuparmi di essere chiamato, che Aparo al microfono diceva che avrei dovuto parlare. Il nulla si era impossessato di me, un contrasto di emozioni: paura, vergogna e altri simili.

Nel momento in cui mi sono alzato cercavo aiuto da parte di Aparo, che come aiuto mi diede il mio documento sul figliol prodigo. Lo presi con le mani che mi tremavano, non riuscivo nemmeno a tenere il foglio in mano, incominciai a parlare di come convivo con il mio macigno.

Dissi solo due parole e ricevetti un applauso d’incoraggiamento, guardai i ragazzi notando che si aspettavano che qualcosa uscisse dalla mia bocca. Non so dove trovai la spontaneità con cui sono riuscito a parlare delle mie paure, credo d’averla trovata grazie alla presenza dei miei amici. Parole da un pensiero, incise nel mio animo, parole che formano la paura e il rimorso per il mio irrimediabile errore.

Questa esperienza mi ha arricchito, tanto che mi sento in colpa per avere avuto dalla società; dovrei essere io a dare qualcosa per riscattarmi! Spero di riuscire a fare tesoro di quei meravigliosi momenti in piedi di fronte a quei ragazzi, come spero vivamente che loro siano riusciti a capire come ci si possa sentire per un errore a cui non esiste rimedio.

L’abbraccio di Aparo, i miei amici che con i loro visi mi facevano sentire il loro abbraccio, e l’impressione di avere suscitato almeno un minimo di interesse in una platea che avevo sentito ostile, tutto questo mi rincuorava.

Da quando sono in carcere questa sensazione l’ho provata solo quando sono con i miei familiari o con la mia suora. L’intervento di alcuni professori che parlavano delle emozioni che le mie parole hanno suscitato, i loro incoraggiamenti a margine del convegno mi hanno fatto piacere.

Con molta tristezza il convegno era finito, mentre aspettavamo che tutti uscissero, subito il gruppo si riunì, esattamente come io vorrei vederlo sempre. Antonella mi disse di andare a fare delle fotografie fuori, mentre andavamo fuori, tutte le persone che incrociavo mi guardavano con delle espressioni fiere e contente, strette di mano e ricambio di sorriso. Ero contento!

Il gruppo riunito per le fotografie aveva finalmente il suo momento per stare insieme, per dirci quello che provavamo, con sorrisi veri, che si scambiano solo tra amici. Immortalammo la conclusione con varie foto, che non tradirò mai, che saranno per me di riferimento in futuro.

 

 

Provo fastidio per essere contento di aver parlato del mio errore. Arrivai nella scuola che i ragazzi ridevano, me ne andai, che almeno i ragazzi nel cortile avevano visi pensierosi.

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