Alle corse
Charles Bukowsky
Lavorando in una ricevitoria ippica da 3 anni mi è stato possibile osservare da vicino i giocatori "in azione" e lentamente comprendere qualcosa di più sul loro mondo e sulle motivazioni che li spingono a venire puntualmente ogni giorno al mio sportello. Per questo ho deciso di sviluppare le mie riflessioni anche attraverso il confronto diretto e il dialogo con alcuni di loro che hanno ammesso di essere "giocatori" - senza nascondersi dietro risposte vaghe, che di fatto negano la realtà - e che rappresentano un campione piuttosto vario delle diverse tipologie del giocatore (per età, sesso ). Ovviamente i nomi usati nel corso di questa relazione sono fittizi.
Il giocatore non ha un'età né un'identità media; ci sono uomini e donne (anche se la maggioranza è nettamente maschile), ragazzi di 18 anni e vecchietti di 80, impiegati, becchini, operai, muratori, pensionati, casalinghe, dottori, avvocati, giornalisti, professori...
A differenza di quanto si è soliti pensare, non è solo chi è poco intelligente o ha poca cultura che scommette! Ciò che accomuna chi scommette sui cavalli, in parte, è costituito da:
Prima di iniziare qualsiasi tipo di discorso è importante operare una distinzione fra "scommettitore" e "giocatore":
E' di questa seconda categoria di persone che intendo occuparmi, consapevole del fatto che esistono delle precise distinzioni al suo interno. Infatti il giocatore ippico, che è l'unico che ho modo di osservare direttamente, è, per sua stessa definizione, atipico rispetto ai suoi "colleghi", a coloro che giocando ad esempio alla roulette o ai dadi affidano in qualche modo il loro destino unicamente alla Dea bendata e ad un fato che non possono in alcun modo prevedere.
Il giocatore ippico mette alla prova la sua intelligenza, la sua capacità di analisi e di studio attento e meticoloso di tutte le variabili in gioco per inserirle in un preciso schema mentale in cui pochissimo è lasciato al caso, benché un minimo di incertezza sia sempre e comunque presente e renda
il gioco ancora più appassionante.
E' Edoardo, uno dei miei intervistati, a sintetizzare benissimo il concetto nel momento in cui, rispondendo alle mie domande, dice
voglio provare la mia intelligenza, considero il gioco una sorte di palestra della mente, dove poter applicare i miei ragionamenti e ottenerne un risultato tangibile |
Chiarite queste premesse si può entrare nel mondo delle corse con un'ottica diversa, un tantino più consapevole, forse, e così rendersi conto che questa sorta di universo autonomo è una specie di irrealtà, o meglio una realtà sospesa in cui ci si illude che ciò che resta dei nostri pensieri magici legati all'infanzia possa realizzarsi. Splendido, a questo proposito, l'intervento di un altro affezionato giocatore, Luigi, che si esprime così:
Il gioco ti proietta in una dimensione diversa da quella reale, sei in una realtà sospesa, in cui sei tu, ci sei ma non ci sei, è una realtà che però sta a due spanne da terra, non è un altro mondo ma una porta su un mondo diverso, senza le rogne le grane di tutti i giorni. Sta a te sapere che quando è arrivata l'ultima corsa a San Siro il tuo sogno per quel giorno è finito, può ricominciare il giorno dopo, ma per quel giorno è finito e devi ricominciare la tua solita routine |
Ed è sua moglie, che dopo aver deciso di diventare giocatrice per condividere i sogni del marito, per non sentirsi una moglie a metà e per rendere il gioco un elemento di unione, di condivisione di emozioni, a concludere il discorso con una frase lapidaria ma incisiva:
E' un ritorno all'infanzia, |
Si può citare nuovamente Bukowsky, che, attraverso il suo alter-ego Chinasky in "Donne", giustifica il suo essere giocatore con una frase molto simile:
E' malato di sogni, siamo tutti malati di sogni è per questo che siamo qui! |
E' un sogno, ma nello stesso tempo è molto di più.
Dalle loro parole emerge il senso della sfida intesa come mi ha suggerito uno di loro, Ale
sorgente di emozioni grandissime. Nelle corse, dove il tutto si svolge in brevissimo tempo, la scarica di adrenalina nel corpo quando il tuo cavallo sta correndo e magari è in dirittura d'arrivo ti dà delle sensazioni talmente forti che sono paragonabili solo ad un orgasmo |
Ed è questa stessa sfida che fa sottolineare a tutti gli intervistati, più e più volte, quanto poco a loro interessi l'aspetto economico della vittoria, quanto invece sia importante la lotta contro un'entità invisibile, non chiaramente identificata che li spinge continuamente a combattere, spinti da una passione non identificabile in uno specifico oggetto di desiderio, ma solo nel desiderio dell'impossibile, nella volontà di cambiare in un attimo ciò che un intero corso di vita non potrebbe cambiare, sfidando morale, razionalità e fortuna per affermare se stessi.
Il giocatore sfida un destino che gli ha negato qualcosa nella speranza di riappropriarsene. Un Destino confusamente personificato che finalmente possa accorgersi di lui, che gli dia le attenzioni che merita e che invece a suo tempo gli erano state negate (da una madre forse?).
Il gioco rappresenta, in ultima istanza, l'unica via di salvezza, l'unico punto di fuga da una sorte che sembrerebbe precostituita, l'unica chance per cambiare finalmente la propria vita, sfidare la fortuna per poter modificare la propria storia e indirizzarla in una nuova direzione. Il gioco diventa quindi una sorta di compensazione, un rifugio per quei sentimenti di cui abbiamo bisogno, il gioco è quella persona (la mamma di cui avrebbero voluto le coccole, la fidanzata che li ha lasciati ) che vorremmo ci amasse ma non abbiamo!!!
Dio del cielo se mi vorrai amare |
La vittoria in questo senso è una gratificazione personale, il momento in cui le tue capacità sono state finalmente riconosciute e la "Mamma/Destino" con voce amorevole può sussurrarti all'orecchio:"Sei stato bravo".
Ed è questa gratificazione a costituire la scusa ovvia per tornare a giocare il giorno dopo e quello dopo ancora, mischiandosi con la vittoria e il senso della sfida, ma rimanendo di fatto il motore principale dell'intera azione.
E se si perde? Nulla cambia. Ancora una volta la scusa è valida, esiste. Non ci si può arrendere di fronte a ciò che ci è ostile, domani tutto può cambiare, una nuova giocata un nuovo rischio, nella continua speranza di ritrovare la sorte amica, di risentire quel dolce sussurro e di essere di nuovo padroni di qualcosa solitamente ineffabile, di confermare la propria onnipotenza.
merda probabilmente avrei perso comunque. Un giocatore che non trova una scusa è un giocatore che non puo' continuare! |
Già. Una conferma della propria onnipotenza. Perché in fondo il segreto, la chiave nascosta di un mondo incantato è proprio nell'onnipotenza le cui radici si trovano nell'infanzia, in quegli elementi mai tramontati rimasti addormentati nell'inconscio, in una sorta di limbo in cui l'adulto di oggi incontra il bambino di ieri e riapre un dialogo fatto di immagini e fantasie.
E' un dialogo tuttavia sfuggente, dove le stesse immagini che la fanno da padrone si perdono e si confondono proiettandosi labili e prive di consistenza in un destino non chiaramente personificato e tuttavia illusoriamente governabile, per esempio attraverso una vittoria, e quindi utile alla valorizzazione di se stessi in quanto entità adulte che finalmente recuperano la loro dignità.
Il gioco è, restando in questo mondo fanciullesco, un po' la loro "lampada di Aladino" qualcosa che li fa sentire indipendenti, pur rimanendo ancorati ad una realtà da cui hanno paura di staccarsi, è l'elemento che gli permette di rinascere e morire in un solo momento, di identificarsi metaforicamente nel cavallo stesso, nella sua corsa armoniosa diretta verso il traguardo.
Ma è anche questa onnipotenza che mi fa credere che in fondo il giocatore sia una persona molto insicura, che non crede in stessa. Lo si capisce da molte cose, per esempio dal fatto che comunque ha paura di affrontare una sfida propulsiva in cui deve impegnare le sue forze in un lavoro costante, o dal fatto che teme di confrontarsi con i suoi limiti, perché, se anche questa volta fallisse la colpa sarebbe sua e non attribuibile a un "maledetto" destino che gli è avverso ma talmente potente da non poter essere controllato
Può sembrare un'incongruenza con quanto detto prima sul fatto che il giocatore senta di dimostrare la propria bravura e intelligenza nei calcoli e nello studio del gioco, ma è proprio in questa incongruenza che invece trapela maggiormente la loro insicurezza, nel momento non tanto della vittoria quanto della sconfitta, quando la colpa è per l'ennesima volta riversata in qualcosa di esterno, in quella minima percentuale di azzardo presente nel gioco ippico o addirittura in noi sportelliste, reputate causa della loro sfortuna, che diventiamo così bersagli di imprecazioni e sfoghi immotivati, come se fossimo noi l'origine di tutti i loro problemi, come se fossimo quelle mamme di cui vogliono rivendicare l'affetto e le attenzioni che non gli furono date!!!
In alcuni questa insicurezza appare in modo molto spiccato. Di solito si tratta di persone che godono di una buona posizione sociale con un ottimo stipendio, magari dirigenti o rappresentanti consapevoli che, scommettendo, compiono un gesto considerato non "degno" del loro status sociale (di solito si associa alla figura del giocatore quella del perdi tempo). Questi giocatori tendono a mimetizzare la loro debolezza assumendo un atteggiamento molto arrogante e maleducato sia con noi che lavoriamo sia con altri giocatori perché, vergognandosi di loro stessi, non vogliono essere confusi con quella "feccia della società". Soffrono di complessi di inferiorità, si sentono rifiutati, non valorizzati, e ostentano di valere molto di più di quanto non siano giudicati.
In altri è percepibile una solitudine e un vuoto incolmabile nella loro vita e sono questi che vengono davanti al mio sportello sperando che io gli chieda anche solo come stanno, felici che qualcuno si sia interessato a loro, contenti di poter chiacchierare anche solo dieci minuti con qualcuno.
E' in quei momenti che mi sento davvero un po' come la loro mamma, figlia o nipote, quando ascoltando le loro storie senza detestarli per il loro comportamento, ma soffermandomi su quel che hanno da dire, ascoltando, capisco che forse giudicare non è poi così giusto!
si sa che la gente da' buoni consigli |
Ma allora chi è il giocatore di cavalli?
Forse l'ho fatto capire, forse no
forse devo solo lasciare la parola a un bravissimo Gigi Proietti che nell'arringa finale di "Febbre da cavallo" di Steno (film divertentissimo che offre una macchietta del giocatore squisita e verisima) lo descrive magnificamente e semplicemente così:
....chi gioca ai cavalli è come dire
un misto, un cocktail: |
Monte premi
Uomini come questi non meritano neppure di morire,
questi balenotteri con le gambe,
ma ce ne sono così tanti,
ai gabinetti,
alle code per mangiare,
una specie riuscita a
sopravvivere
nel senso più limitato del termine,
e quasi non ci credi,
quando ne vedi così tanti,
da vicino,
presenti ma assenti,
affannati, scoraggianti,
in attesa del tuono
che non scoppierà,
in attesa del galoppante
cavallo bianco della
Gloria,
in attesa dell'adorabile
femmina che non
verrà,
in attesa di VINCERE,
in attesa del
gran sogno che
li inghiottira'
.
.I fantini rimontano
in sella per un'altra
corsa,
gli uomini si accalacno
incantati
verso
i botteghini
padri in festa e no,
li aspetta tutti
il lunedì,
e questo è l'ultimo specchietto per allodole.
Ma nello stesso momento
In quel posto,
sprizzano vita
da ogni poro:
persino
all'inferno
accadono miracoli.
Decido di restare
per ancora un'altra
corsa.
Henry Charles Bukowsky