Verbale 19-06-2008 - Carcere di Bollate |
Livia Nascimben | 19-06-2008 |
Alberto porta al gruppo uno scritto in cui riassume cosa ha ricavato dall’incontro precedente e cerca di verificare se quanto detto è compatibile con propria storia personale. Alla lettura dello scritto seguono i commenti del gruppo. L’attenzione si concentra sulla parte dello scritto in cui Alberto parla del rapporto con suo padre e con suo figlio e di come, secondo lui, le sue scelte criminose non siano dovute alle mancanze subite durante l’infanzia.
Gaetano: Io penso che ognuno di noi, guardandosi indietro, inquadra la propria storia come gli torna meglio. La storia di Alberto è una storia di tradimenti: quando era piccolo è stato tradito da suo padre, da adulto ha tradito suo figlio. Facciamo gli stessi errori dei genitori, quelli per cui ci siamo lamentati, anche se forse li facciamo in modo diverso. Il padre di Alberto se ne è andato, Alberto è stato arrestato, ma per suo figlio non è comunque presente.
Giulio: Il reato è una sorta di vendetta verso la famiglia. Col reato è come se si dicesse “vi faccio passare da grande quello che io ho passato da piccolo”. E la storia si ripete. Sono preoccupato per mio figlio, sento che attira la mia attenzione ma lo fa in un modo che mi preoccupa e non so cosa posso fare.
Enzo: Le mancanze che hai subito in famiglia si ripercuotono nella tua vita adulta, attraverso quella che viene chiamata la coazione a ripetere.
Tony: Mio padre mi picchiava ed era emotivamente assente. Io riesco a stare vicino a mio figlio, per quanto posso, ma la storia si ripete, io manco da casa. Cerco di dargli quello che è mancato a me, anche se io a lui ho dato la mia mancanza fisica.
Vito: Il tuo comportamento dipende dal comportamento dei tuoi genitori, nel bene e nel male.
Virginia: A volte si è influenzati dal comportamento dei genitori, non perché si ripetano gli stessi errori, ma perché per evitarli si commettono altri errori, magari opposti.
Alberto: In parte sono d’accordo con voi, in parte no. Io ho scelto di fare reati, non è stata la mia infanzia a portarmi in carcere.
Aparo: E’ riduttivo ricondurre le scelte dell’individuo alla necessità di ripercorrere gli errori dei genitori o di evitarli commettendone degli altri. Proviamo ad andare oltre. Qualsiasi esperienza si viva, quando questa causa un dolore, lascia nella persona il bisogno di superarlo, di porvi riparo. Se il contenitore entro cui si cresce ha subito una rottura, la persona vivrà l’esigenza di saldare quei pezzi di realtà rotti. A quel punto si aprono almeno due diverse strade. Se da bambino non percepisci l’ambiente dove vivi sufficientemente protettivo e nutriente, crescendo, o lavorerai per rimettere simbolicamente insieme i pezzi rotti della tua vita (diventi, ad esempio, un medico che cura le ferite piuttosto che un falegname che forgia e assembla il legno), o ti rinchiuderai in un atteggiamento sprezzante per prendere le distanze dalle ferite che ti hanno segnato.
Nella vita di ognuno è ben difficile che non si rompa qualcosa e a questa frattura occorre cercare un rimedio; a volte si prova a ripararla, a volte si prova a negarla, ad esempio con ore di palestra. Se tua madre, depressa, si sente sempre in colpa e vive un forte senso del peccato, o forgi il legno per costruire qualcosa di vitale oppure elimini dalla tua vita ciò che evoca il problema, ad esempio una manifestazione della sessualità.
Gaetano: Ciò che si è rotto, però, rimane crepato anche se lo aggiusti.
Aparo: L’uomo, per dirla con Gaetano, è crepato in ogni caso. Già quando nasce subisce una rottura, passa dall’utero materno all’ambiente esterno. A quella prima rottura poi se ne aggiungono delle altre. Ma le fratture sono ciò che ci motiva verso la scienza e l’arte; in un certo senso, tutto ciò che scopriamo o inventiamo risponde allo scopo di riparare qualcosa di rotto. Grazie ai collegamenti che troviamo e coltiviamo tra pensieri e oggetti nella realtà, ciascuno di noi ripara le fratture piccole o grandi che ha subito nel corso della propria crescita.
La rottura che subisci ti mette dentro un compito: ricucire la ferita. Ciò può essere fatto in due diversi modi: assumendo una posizione di potere per negare la nostra fragilità, oppure attraverso l’investimento delle proprie energie sulla realtà. In un caso cerchi di mantenere sotto controllo una mancanza, nell’altro ci lavori sopra; in entrambi i casi l’obiettivo è evitare che la ferita ti annienti.
Alberto: Effettivamente io mi sono sempre detto: ma a me un padre a cosa serve? Posso farne a meno e ne farò a meno!
Vito: Non so come sono arrivato a sentirmi gratificato mentre facevo bene il male, è stato col tempo. Oggi mi sento gratificato studiando. Tutti i giorni reagiamo alle cose che accadono e ai sentimenti che proviamo scegliendo di percorrere una strada piuttosto che un’altra.
Boudina: Quando vivi una storia diversa da quella che ti ha fatto soffrire, compensi la ferita e ti senti rinascere. La rottura è una delusione, la forza per difenderti dal dolore la trovi nella relazione con gli altri.
Gaetano: Forse l’inizio della riparazione è accettare che c’è stata una rottura. Mi tolgo la corazza, comincio ad essere responsabile, a capire dove, come e quando è successo che ho potuto compiere il male. Accettare la rottura ti porta a ragionare, ad avere pensiero.
Tony: Non posso cambiare i giocattoli rotti, ma posso aggiustare la macchina che produce i giocattoli o non avrei alcuna speranza per il futuro, né potrei dare a mio figlio qualcosa di buono. Dentro ho un mostro nero mascherato, ma dentro ho anche Antonio, lo sento. Oggi cerco i consensi nella relazione, non più i consensi della paura, prima ciò che facevo era farmi rispettare sottomettendo gli altri. Dentro di me però ho una domanda che mi spaventa: e se il mostro che ho dentro fosse calmo perché non ha occasione di manifestarsi, ma non aspettasse altro che la mia liberazione per esplodere nuovamente?
Scritti collegati: La Corazza, M. Battarin; Il calco e il manichino, A. Aparo; La corazza, G. Martino; Luci in lontananza, K. Forte