Appunti sul suicidio

Angelo Aparo

02-07-2010  

Quando ci si uccide, spesso lo si fa per colpire un nemico:

I propositi di suicidio aumentano via via che il soggetto subisce la perdita delle sue funzioni e si trova a vivere in un presente senza progetti attendibili, senza un futuro nel quale riconoscersi. Il suicidio è un tentativo estremo di mantenere una propria libertà decisionale quando tutto sembra deciso da altri. Al nemico esterno il suicida dice: "Tenetevi pure il corpo ch'è diventato vostro, io me ne vado";  al nemico interno: "Non ti permetterò di portare avanti la tua tortura".

In Italia la legge prevede che la pena debba tendere al recupero del condannato, ma in carcere muoiono ogni anno per suicidio una cinquantina di persone, una percentuale molto più alta della media nazionale. Uno Stato che non prevede la pena di morte, ma che d’altra parte mantiene condizioni nelle quali un numero così alto di detenuti si dà la morte, fallisce nel proprio obiettivo e, in un certo senso, opera in direzione opposta a quella che persegue.

A volte i bambini, non sapendo come farsi valere o riconoscere, picchiano la testa contro il muro per protestare contro i genitori; la loro fantasia è che farsi del male equivalga a scagliare la propria rabbia contro un capitale di proprietà dei genitori: il bambino lo attacca e aggredisce se stesso per punirli! In carcere accade spesso che un detenuto si procuri tagli su tutto il corpo così da richiedere a volte anche più di cento punti di sutura: lo si fa per chiedere ascolto, ma molto spesso anche solo per “punire” chi non ascolta.

A volte si pensa che un ambiente fisico più vivibile possa giovare alla prevenzione del suicidio, ma le sue cause principali non sono le difficoltà ambientali o la carenza di spazi; ci si suicida perché il rancore verso gli altri e verso se stessi riduce lo spazio interno e le spinte creative personali e annienta progressivamente la fiducia che ci possa essere un diverso domani.

Di fronte al suicidio, l'istituzione spesso reagisce tentando di intensificare il controllo, ma il controllo è una delle cause del suicidio. Impedire all'aspirante suicida la possibilità di portare a compimento il suo proposito non equivale a bonificare le fantasie di auto soppressione. Investire energie e soldi sul controllo è fatica sprecata, tanto più se si considera che hanno breve durata. Meglio investire su iniziative utili ad alimentare la volontà di vivere!

Il suicidio si previene con un ambiente che restituisca alla persona la possibilità di esprimere la propria rabbia verso gli altri e verso se stessi e con dei mezzi e delle attività che permettano di recuperare la fiducia in sé e nelle proprie potenzialità.

Infine, di fronte alla irreparabilità di una morte oramai avvenuta, è utile ricordare che ci si suicida in un momento, ma ci si toglie lo spazio per vivere a poco a poco. E' doveroso per le istituzioni e per il soggetto mettere a fuoco che al suicidio si giunge solo come momento finale di un percorso, una serie di gradini che si salgono o si scendono a seconda del modo di procedere sia del soggetto sia dell'ambiente in cui egli vive.

Al Gruppo della Trasgressione il tema del suicidio è stato più volte oggetto di dibattito e di scritti. Nel 2003 il dott. Luigi Pagano, allora direttore di San Vittore, propose al gruppo di svolgere per un certo periodo la funzione di Peer support nelle celle a rischio e, appena l'anno scorso, la dott.ssa Manzelli ha invitato il gruppo a partecipare a un convegno sul tema per dire la propria. In entrambi i casi molti detenuti del gruppo seppero farsi onore.

Credo che i detenuti possiedano un capitale di conoscenze che merita di essere valorizzato e sfruttato, meglio se in progetti da portare avanti in collaborazione con le autorità istituzionali.

Nel 2010, il Gruppo della Trasgressione si sta dedicando ad alcune iniziative che a tutto il gruppo, detenuti e liberi cittadini, fanno venire voglia di portare avanti la sua partita:

Come si può vedere, si tratta di progetti che solo in un caso hanno espressamente a che fare col suicidio. L'esperienza dice però che questo genere di attività costituisce un'ottima prevenzione per il suicidio e un buon antidoto alla rabbia incendiaria che il tempo del carcere di solito non spegne.