Romanze, giostre e mangiafuoco

 

Tiziana Pozzetti

Verbale 06-07-2009  

Oggi il Gruppo della Trasgressione è stato invitato a partecipare al concerto lirico tenutosi presso il reparto femminile di San Vittore. Durante l'evento, intitolato Voci in Concerto, il soprano Rossella Locatelli, il tenore Giuseppe Bellanca e il basso Giorgio Valerio, accompagnati da So Young Sim al pianoforte, hanno cantato alcuni pezzi tratti dalle opere di famosi compositori quali Puccini, Mozart, Rossini, Verdi. Tutti i presenti sono rimasti incantati nel constatare come gli artisti riuscissero a liberare tanta forza e, al tempo stesso, a muoversi con tanto equilibrio fra le note. La presentatrice della giornata, prima di ciascuna esecuzione, ha contestualizzato il brano all'interno dell'opera, permettendo a tutti di intenderne il senso. Il basso Giorgio Valerio ha anche coinvolto simpaticamente il pubblico, ironizzando sulle capigliature dei presenti mentre andava su e giù per le note del Barbiere di Siviglia.

Al termine del concerto Ivano Moccia, fremendo dalla voglia di dire la sua, ha chiesto alla presentatrice di intervenire per proporre un suo breve scritto. Il testo, in effetti, sembrava prodotto apposta per l'occasione. Ivano è riuscito con facilità a collegarne il senso con lo spettacolo appena concluso, evidenziando la difficoltà di domare il suo fuoco interiore e ponendola a confronto con la capacità del tenore, e dei cantanti lirici in generale, di modulare il proprio respiro per arrivare a eseguire e concludere nel migliore dei modi la prestazione.

Terminato lo spettacolo il Gruppo della Trasgressione si è riunito, come di consueto, presso il reparto maschile per iniziare le attività del giorno. Per prima cosa, diverse persone hanno voluto commentare l'intervento di Ivano Moccia.

Tiziana: vorrei farti i complimenti perché, nonostante in questo ultimo periodo ti veda molto irrequieto, il tuo intervento è stato davvero ben calibrato. Quando hai chiesto d'intervenire non sapevamo cosa avresti detto, il fuoco che hai dentro sarebbe potuto divampare e bruciare tutto, invece in questo caso sei riuscito a modularlo bene, proprio come i cantanti lirici hanno fatto con il loro respiro e la loro voce.

Mario: in realtà, quando Ivano frequenta il gruppo riesce a trasformare il suo fuoco in una fiammella innocua.  Forse quello che ha fatto poco fa dopo lo spettacolo non è stato poi così difficile. Il vero problema sarà quando uscirà da qui, se fuori non ci saranno persone con le quali amministrare le sue difficoltà e il suo fuoco.

Aparo: è vero che nel gruppo ci sono le condizioni utili a mitigare alcuni aspetti dirompenti delle nostre personalità; ed è vero, come nota Mario, che le difficoltà e le seduzioni che si incontrano fuori sono di ben altra portata.

Ma Ivano era comunque in una situazione che avrebbe potuto fargli venir voglia di “incendiare” ciò che aveva davanti... si sa che il palcoscenico seduce il narcisismo... al contrario il suo intervento è stato ben calibrato alla situazione nei tempi e nei contenuti. Penso proprio che stavolta abbia saputo contemperare le sue spinte narcisistiche (il desiderio di salire sul palco) con il rigore sui contenuti e con il rispetto del lavoro degli altri.

Silvia: generalmente, quando Ivano parla o legge degli scritti, sento che la sua voce suona come quella di un animale in gabbia. Oggi invece era meno violenta del solito, era una voce più disposta a “farsi ascoltare”.

Paola: mi è piaciuto molto come è riuscito a passare dalla pericolosità del fuoco di cui parla nello scritto al contesto circostante, paragonandolo ad esempio al respiro dei cantanti lirici, facendo così capire che il fuoco, se ben dosato, può diventare un'energia vitale.

 

 

Si passa alla lettura dello scritto di Ivano Longo: Il Chiodo.

Silvia: generalmente Ivano scrive in modo un po' estremo, cose o troppo belle o troppo brutte, questa volta invece mi sembra di vederci dentro delle sfumature, questa volta parla come una persona semplice, ammette che la sua attrazione verso certe cose e verso una certa vita, non è del tutto svanita e dichiara la sua paura per questo tipo di attrazione.

Moccia: trovo che questo sia uno scritto molto forte e preoccupante. Ivano dice che non si sente pronto ad uscire, che ha paura di uscire. Io vorrei uscire,  ma ho paura che una volta fuori, invece di concentrarmi bene su una cosa, per via della mia agitazione, mi metto a farne mille, ho paura di ricadere negli sbagli precedenti...

Iannetta: il problema è che qui dentro Ivano ha accanto delle persone che gli vogliono bene, che hanno sempre pronto un abbraccio per lui quando ne ha bisogno, che se lo stringono e gli danno retta. Fuori Ivano è solo, e viste le sue condizioni, sarà ancora più solo. Ivano ha bisogno che ci sia anche fuori un posto dove sia possibile non andare allo sbando.

Tango: la cosa bella dello scritto di Ivano è che lui questa volta non ha abortito la domanda, ma la sta coltivando.

Nuccio: io in questo scritto leggo chiaramente una richiesta d'aiuto, è evidente che il problema del carcere non è tanto entrare, perché si può sbagliare, e una volta che sei dentro accetti di pagare la tua pena. Il vero problema è uscire.

Elena: io sono rimasta perplessa da questo scritto perché più volte Ivano aveva detto di aver chiuso completamente con la sua vita passata e di non desiderare più ripercorre gli stessi errori; in questo scritto vedo invece che tornano fuori vecchi desideri che credevo sorpassati, mi chiedo allora cosa possa essere successo...

Aparo: non è successo niente di particolare, semplicemente, come diceva Antonio Tango, Ivano si è deciso a non abortire più le domande e l'ascolto di ciò che ha dentro. Non si tratta di una regressione nel suo percorso, semplicemente direi che ha una maggiore consapevolezza di quello che gli passa per la testa.

Livia: il chiodo che traballa mi fa venire in mente due possibilità, da una parte il fatto che, cadendo, il foglio può finire semplicemente dimenticato, dall'altra il fatto che forse è giunto il momento di far cadere questa pergamena per metterci al suo posto dell'altro.

Paola: mi ha colpito molto l'immagine della pergamena fissata con un chiodo allo stomaco. Non è fissata nel cuore, ma proprio nello stomaco, come se fossero delle parole che Ivano non riesce a digerire, che gli sono rimaste lì, sullo stomaco. Il fatto che le rappresenti così mi pare dimostri che sia consapevole del loro peso.

Aparo: a me pare che ci troviamo di fronte alla necessità, ormai non più rimandabile, di creare un gruppo esterno per fare in modo che il percorso fatto dal detenuto all'interno del carcere non vada disperdendosi una volta fuori.

La società pare non rendersi conto dei danni che può produrre una persona che esce dal carcere senza argini e senza mezzi. Quando un detenuto esce e non trova un ambiente atto ad accoglierlo e supportarlo, può arrivare a produrre danni a palate... non parliamo di una rapina al mese ma di una al giorno!

La società pare che non ci creda. Eppure è evidente l'importanza che assumono quei progetti e quelle iniziative che riescono a dare continuità al percorso di maturazione e di supporto dell'ex detenuto nel passaggio ad una libertà difficile da amministrare. In questo senso la creazione di un Gruppo della Trasgressione anche all'esterno è un progetto non più rimandabile.

Massimo: io mi trovo nella stessa situazione di Ivano, infatti penso che quando uscirò di qui ciò che farò sarà andare a lavorare in Germania dove pare che la società sia molto più organizzata per accogliere e reintegrare un ex-detenuto... Qui in Italia non ci sono molte possibilità, spesso l'unica possibilità di sopravvivenza è ritornare alla vecchia vita da delinquente....

 

 

Dopo una breve pausa il gruppo riprende con la lettura dello scritto di Mario Di Domenico: La giostra.

Longo: a me pare che ad un certo punto sia voluto diventare tu stesso il giostraio, quando dici che il giostraio ti ha fregato in realtà mi pare che ti sei fregato tu stesso con le tue mani...

Tango: mi ha ricordato un incontro che avevamo fatto con le scuole, in quell'occasione avevamo parlato della metafora dell'imbuto. Quando vai verso il lato che si allarga, che ti permette di ampliare i tuoi orizzonti, riesci a goderti dei sapori anche semplici, come quello dello zucchero filato. Al contrario quando vai verso la parte dell'imbuto che si restringe, non senti più quello che ti circonda, la tua visione si riduce, non puoi più godere di molte belle cose.

Silvia: mi ci ritrovo in questo scritto, mi sembra quasi di leggere me stessa in versione maschile. Delle volte la sfida e la rabbia vengono fuori perché non senti di essere “abbastanza”, allora l'adrenalina della sfida ti fa sentire capace. A 9 anni le parti di te che hanno paura sono troppo forti per potersi permettere di ignorarle. Quando ero piccola io immaginavo di essere l'omino di latta del Mago di Oz. Quando sfidi continuamente per dimostrare di essere capace è come se con la sfida buttassi fuori tutto, solo che poi dentro non rimane più niente... per me questa sfida porta ad avere gli occhi solo fuori... in questo modo però ti dimentichi di guardare dentro e, a furia di dimenticartene, quello che c'è si disperde...

Tiziana: sento che in qualche modo questo scritto mi riguarda anche se non so bene come. Da una parte mi piace vivere tranquilla in pace, dall'altra sento che la sfida è come un'attrazione fatale. Alle volte, nelle relazioni, vivo la sfida come un punto di passaggio: quando ci sono delle persone che stimo e a cui potrei volere bene è come se le volessi mettere alla prova. Però così è come se mi rovinassi con le mie stesse mani perché come fai a spiegare ad una persona che la stai sfidando o attaccando perché in lei ci vedi qualcosa, perché ti piace? Così a volte mi perdo delle possibilità.

Livia: quando sei concentrato sulla sfida ti sembra che stai vivendo, ma poi la vita è un'altra, fatta anche di quelle piccole cose che magari prima non vedevi. Ne rimangono tracce a volte debolissime. Poi però può succedere che il filo dei ricordi prende vita. Per me, a volte, bere la cedrata è come mettere un video nel videoregistratore e farlo andare.

Tango: riesci a percepire il valore della vita quando, invece di perdere tempo con le sfide, ti metti a costruire qualcosa. In questo modo la vita può assumere un senso.

Paola: questo scritto mi tocca molto perché in qualche modo mi fa venire in mente il rapporto tra figli e genitori, in particolare sento che in questo periodo mia figlia mi lancia molte sfide e io mi chiedo se non sia anche colpa mia, magari sto sbagliando qualcosa.

Aparo: ogni essere umano ha l'esigenza di rappresentare la propria storia, di scrivere nuove sceneggiature per le proprie vicende passate, affidando ogni volta le parti principali a dei nuovi protagonisti. Per questo, oltre ai giostrai veri, le persone tendono a crearsi anche i giostrai di cui hanno bisogno.

Nello scritto di Mario il giostraio diventa una delle rappresentazioni possibili di una vita segnata da un arbitro crudele. Suo padre è morto quando lui aveva appena un anno; in fondo, ha una sua logica che la sua sfida si rivolgesse a qualcuno che dava o toglieva secondo il suo arbitrio e la sua convenienza.

Ognuno deve dare un volto ai traumi e alle ingiustizie subite... un modo per farlo è  rimetterle in scena con un giostraio che dispensa doni a proprio piacimento e in relazione a interessi che nulla hanno a che vedere con le ferite e gli obiettivi di chi lo sfida.

Quando hai vissuto un abbandono diventa difficile distinguere tra la persona originaria che ti ha abbandonato e il giostraio che, in realtà, è solo il mezzo attraverso cui parlare con questa persona. Può anche capitare che un giorno trovi un giostraio che capisce il gioco che stai giocando ed è in grado di orientarlo verso l'esito di cui tu hai bisogno. Di solito però non c'è modo di prestare tanta attenzione alle esigenze recondite degli altri, tanto più se contrastano con le nostre.

Nel frattempo, a furia di lottare tutti i giorni con il giostraio di turno, perdi le occasioni per goderti il sapore dello zucchero filato di Mario o della cedrata di Livia.