La giostra | |
Mario Di Domenico | 05-07-2009 |
Il tredici di marzo è la festa del patrono del mio paese. Non è proprio il paese dove sono nato, ma è quello dove ho vissuto la mia vita da quando avevo otto anni fino ad oggi. A parte gli anni vissuti in galera, per il resto Arona è stato il mio paese.
Qualche giorno prima del Tredicino, così la chiamiamo la grande festa, noi bambini eravamo effervescenti ed emozionati perché arrivavano le giostre. Grandi carovane riempivano il lungo lago di camion, roulotte e bancarelle, pronte da montare con quei gioielli del divertimento.
Ultimato il montaggio delle giostre, i giostrai facevano dei giri di prova e noi, che soldi in quei periodi non ne avevamo, eravamo pronti a sacrificarci come primi passeggeri. C’erano le giostre più strane, piene di luci, con mille colori, erano tutte in fila così da far girare la testa e togliere il fiato a qualunque bambino e, forse, anche a qualche adulto che da piccolo non aveva avuto la possibilità di vederle.
La giostra che mi attirava di più era quella fatta da miniature di macchine, carrozze, cavalli e motociclette. Girava per circa un minuto, poi annunciavano che c'era la gara per chi riusciva a prendere il codino dello scoiattolo.
Dai bambino, prendi il codino, forza, dai che ce la fai, ecco che arriva la bambina sulla carrozza, allunga la manina, dai ragazzino che questa volta è tuo, oooh! Come è veloce questo scoiattolo, non si fa prendere, ma ecco il bambino a cavallo che riesce a strapparlo, bravo hai vinto un altro giro…
Avevo nove anni e cominciavo a mettermi alla prova, quel codino era il grande obbiettivo da raggiungere e dovevo farcela a tutti i costi. Ero diventato un professionista… fino a quando il giostraio voleva farmelo credere… eh sì, perché bastava che tirasse la corda un po’ di più quando passavo io e il codino era irraggiungibile. Per il cassiere era solo il suo lavoro tirare la corda, per me e penso per gli altri miei amici era il banco per mettermi alla prova.
La sfida ha sempre fatto parte della mia vita, qualunque cosa mi proponessi di fare avevo bisogno di crearmi dei rivali con i quali misurarmi. Quella giostra mi metteva a dura prova, non bastavano più la velocità, i riflessi, o l'estensione massima del corpo e del braccio, perché i miei avversari erano diventati troppi; oltre a quelli che come me tentavano di prendere il codino, c'era anche il giostraio, e con lui la gara era più dura.
Data l'importanza dell'obiettivo ho iniziato a usare altre tecniche, come quella di far credere di essere disinteressato e anche un po’ imbranato, per poi, quando il codino era a portata di mano, schizzare come una pantera sulla preda, col conseguente sgomento del giostraio che si sentiva fregato da un bambino.
È durata pochi anni la sfida con il codino perché crescendo le preferenze sono passate su altri tipi di giostre.
A tredici anni era l'autopista che mi attraeva, la sfida era quella di tamponare l'avversario all'improvviso per ridicolizzarlo agli occhi delle ragazzine che, al bordo della pista, facevano da giudice e da premio finale.
Sono cresciuto ancora, anzi sono diventato grande, avevo diciannove anni e non mi sono accontentato di lasciare scegliere al destino dove avrei dovuto fare il militare. Ho deciso di fare il paracadutista. Eh sì, dovevo sfidare il mondo e mettermi alla prova sulle mie capacità di coraggio e resistenza. Ancora una volta credevo di aver vinto, sono addirittura diventato istruttore di paracadutismo, ma, pur essendo un esperto nel campo, non sono stato capace di far planare la mia vita.
Ho continuato a crescere cercando di prendere il codino. Anche se le giostre cambiavano ogni volta, il codino era sempre lo stesso e il giostraio, ormai, mi conosceva molto bene, non sono più riuscito a fregarlo, anzi è lui che ha fregato me.
Qualche anno fa ho portato i miei figli alle giostre, ho insegnato loro qualche trucco con ottimi risultati, ma dopo qualche giro, di cui qualcuno vinto, ci siamo fermati a una bancarella e abbiamo mangiato il classico zucchero filato e un pezzo di torrone con le nocciole, che era così buono, ma così buono che ne ricordo il sapore ed il profumo ancora oggi. È strano, eppure il torrone lo facevano buonissimo anche quando ero piccolo.
Ora mi chiedo: perché non ne ricordo il sapore? Forse per continuare a sfidare tutti e tutto mi sono perso un pezzo di film.