Sullo scritto di Silvia |
Sara Bellodi | 24-01-2004 |
Ieri avevo pensato e comunicato che non sarei venuta al Gruppo, ma la telefonata di Livia e la fragilità di Silvia mi hanno fatto arrivare davanti al carcere in meno di 20 minuti, senza nessuna esitazione o dubbio. Ho sentito la forza del gruppo, il sentimento di appartenenza e lo spirito di partecipazione più forte ieri che in altri momenti. Di questo ringrazio tutti, soprattutto Livia.
Dello scritto di Silvia ho parlato più volte, al gruppo, con lei e con qualche detenuto durante le pause. Il valore del suo scritto è evidente ed è sottolineato in maniera chiarissima da Livia nel “verbale” dell’incontro, a questo non ho nulla da aggiungere.
Ho avuto e ho tuttora l’impressione che non sia stato affatto lo scritto di Silvia a suscitare le critiche di alcuni detenuti, ma alcune frasi pronunciate qua e là all’interno della discussione di quel giorno, frasi che sono state fatte oggetto di personali elaborazioni e distorsioni.
L’inappropriatezza di un comportamento di questo tipo mi sembra palese ed estremamente sterile, dal momento che le persone che tanto si sono sentite turbate dalle affermazioni di Silvia non hanno e non si sono concesse la possibilità di aprirsi al dialogo e comprendere in maniera corretta (ad eccezione di Umberto, che conferma la sua intelligenza), ma quello che mi sembra quasi paradossale è che lo scritto e il suo contenuto siano passati in secondo piano.
Non ci siamo interrogati sullo scritto e su quanto fosse capace di trasmettere, ma su qualche parola volata quasi casualmente nella stanza, innocua e priva di ogni intenzionalità provocatoria, assolutamente non idonea a scatenare tanto scalpore.
La mia sensazione è che nello scritto di Silvia non ci fosse nulla capace di farla identificare come una persona distante e giudicante; c’è il suo modo personale di scrivere in forma di racconto e di farlo maniera semplice, forse con la freschezza dai vent’anni, o forse semplicemente con uno stile curato e gradevole. E’ un’isola calda circondata da un mare tranquillo, dove il cammino e la ricerca si accompagnano insieme alla paura e alla fiducia, alla calma ed al dubbio. Per emozionarci e per darci il senso di una travagliata ricerca dovevano per forza esserci un mare in tempesta e delle fiere spaventose pronte a divorarla? La ricerca del significato di se stessi e della vita deve necessariamente essere agognata e turbolenta, intrisa di sofferenza e con mortificazioni sempre in agguato?
Abbiamo ripetuto diverse volte quanto l’arricchimento personale stia nell’incontro con l’altro, con il diverso, con ciò che fa paura. Silvia INCONTRA. Avrebbe dovuto SCONTRARSI per convincerci di essersi arricchita, cresciuta attraverso le esperienze, sopportato le sofferenze ricavandone forza?