Strumenti con chi ha qualcosa da dare |
Barbara Bartocci | 19-03-2004 |
Ti scrivo dopo aver lasciato trascorrere del tempo dal quel sabato 28 febbraio, da quell’incontro che ha scosso molti animi, che ha suscitato riflessioni e che, forse, ha deviato e corretto qualche cammino. Ho preferito aspettare che la turbolenza di emozioni e sensazioni, non solo mie, nate in quella stanza fatta di sguardi, silenzi e lacrime, potessero sedimentare ed essere ricordate e rievocate al di là del valore momentaneo, ma per quello che hanno lasciato dentro ognuno di noi.
Ti scrivo oggi, 19 marzo, non è stata una scelta premeditata, ma forse un’inconscia casualità, che in questo giorno, in cui mi chiedo perché non posso esprimere i miei auguri e fare una torta come fanno tanti, sento il bisogno di avvicinarmi a te. Rileggo le parole di immedesimazione e di rimorso di Fabio e Marcello, ma soprattutto provo a capire i tuoi perché, i tuoi silenzi ed i tuoi sensi di colpa.
Cara Antonella, abbiamo avuto lo stesso crudele destino, quello che si impone e stravolge la vita, i sogni, le speranze, che cambia le proporzioni tra te e il mondo, gli altri, perché il dolore che senti è solo tuo e sei consapevole che non esiste una cura, né una soluzione per alleviarlo.
Forse hai creduto che poter dare un volto ed un nome a chi, senza chiedere e senza scrupoli, ha strappato la parola felicità alla tua vita, potesse servire a rimpicciolire, anche di poco una ferita enorme? Hai pensato che poter guardare negli occhi a pochi metri di distanza il tuo assassino potesse darti il coraggio per non nasconderti, gridare e vendicare la tua sofferenza?
Ti posso garantire che niente di tutto ciò è servito per andare avanti meglio, anzi quello sguardo, incrociato più volte in un’aula di tribunale, è rimasto indelebile nella mia mente e ho paura di poterlo ritrovare. In quell’incontro, in cui mi sono trovata di fronte a chi ha varcato la soglia della devianza e della criminalità, avevo la stessa paura, nonostante le espressioni del mio volto cercassero di nasconderla dietro una freddezza che, generalmente, non mi appartiene.
Tu in quell’occasione hai voluto sapere cosa mi avesse spinto ad essere lì?
Anzitutto per vincere me stessa, per superare un altro ostacolo, per continuare a cercare un perché, al quale forse non arriverò mai. Ma è l’unica strada che ho, che abbiamo, lungo la quale camminare tenendo per mano chi ha bisogno e lasciandoci condurre da chi ha qualcosa di bello da dare.
Non esistono per noi la rassegnazione e la pace, ma esiste la fede, che ci sostiene sempre, anche se ce ne accorgiamo solo nei momenti più difficili, ed è l’unica risorsa inesauribile, che mi fa sentire ancora un papà vicino, che mi segue, mi guarda e mi accompagna. Per noi esistono gli altri per i quali “essere strumento”, chiunque essi siano…
Quel sabato hai aperto una sfida con te stessa, credici e continua, fallo per il tuo papà, per chi ti vuole bene e per chi da te ha qualcosa da imparare. Non vergognarti di piangere, raccontare e guardare; hai iniziato un percorso meravigliosamente difficile, spero, in qualche modo, di poterti accompagnare.
Con stima e affetto
Barbara
“La morte non è nulla,
sono solamente passato dall’altra parte.
Sono ancora io e tu sei tu.
Quello che eravamo uno per l’altro lo siamo ancora.
Chiamami come hai sempre chiamato, parlami come hai sempre fatto
non usare un tono diverso
Non assumere un’aria solenne o triste
continua a ridere di ciò che ci faceva ridere insieme,
prega, sorridi, pensa a me, prega con me.
Parlate di me in casa
come è sempre stato fatto
senza enfasi o traccia d’ombra.
Che la vita significhi ancora per te
quello che ha sempre significato,
che resti quello che è sempre stata.
Il filo non si è spezzato.
Pensi che io sia uscito dalla tua vita
perché non mi vedi?
Non sono lontano,
sono solamente dall’altra parte del cammino.
Vedi, tutto è bene,
tu ritroverai il mio cuore,
ne risentirai la dolcezza.
Asciuga le lacrime
E se mi ami
non piangere.”
S. Agostino