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Ciao a tutti,
Eccomi qua, a scrivere quello che è successo ieri, non solo oggettivamente, non solo in quella che Sisto Vecchio ha definito "realtà effettuale", ma anche nella mia "realtà soggettiva". E' bello vedere ciò che rimane dentro di noi, ciò che sappiamo comunicare agli altri, ciò che nella comunicazione diventa, giorno dopo giorno, una esperienza comune.
L'incontro di ieri, mi è forse piaciuto più del primo: ho sentito più collaborazione, più unione, tutti hanno lavorato per un tema comune, la sfida, che non riguarda solo i detenuti, ma ogni uomo sulla faccia della terra. Il prof. provocatoriamente chiedeva sempre: "la sfida: ma chissà come mai ne parliamo tanto?"
Mi sono sentita meno bloccata e meno "paurosa", più disposta al confronto e al dialogo. Volevo complimentarmi con i relatori, detenuti e studenti, anche per la loro capacità di rispondere alle domande in maniera così naturale.
Cosa ci rimane di questo convegno?
Beh, prima cosa, i pareri di personaggi importanti, che per la prima volta si sono trovati a riflettere sul cosa è la sfida, una riflessione che è stata favorita da tutti coloro che erano presenti al convegno: i relatori con i loro lavori, e "il pubblico" con le sue domande.
Ecco cosa dice il prof. Sisto Vecchio a proposito della sfida:
La vera sfida è la sfida del quotidiano. Il groviglio che Ivano Longo ha affermato di aver sempre sentito dentro di sè, è un groviglio che fa vivere.
Si parla di narcisismo e di sfida; il narcisismo contiene spesso gli aspetti più distruttivi del sè. Non ha a che vedere con la vita, ma si impossessa di essa.
La vera sfida è superare questo "demone" attraverso l'amore di sè e dell'altro. Il momento unificante di tutte le sfide è dare un senso a ciò che accade. L'elemento che provoca una sfida può essere qualsiasi e ciò non dipende dalla realtà effettuale bensì dalla realtà soggettiva; fra queste due realtà vi è sempre un rapporto dialettico. Il senso del limite è quello che ci fa assumere la responsabilità di ciò che facciamo, e nella sfida, diventa sempre più ambiguo.
Ecco cosa ha detto la prof.ssa Marta Vigorelli sulla sfida:
Il lavoro che stiamo facendo è utilissimo perchè dà la possibilità ai detenuti di rievocare il passato con degli strumenti atti a comprenderlo.
Sinceramente c'è voluta molta riflessione prima che io decidessi di venire qua a questo convegno; ciò deriva dall'associazione ch'io ho fatto tra carcere e ospedale psichiatrico. Prima ancora di diventare analista e psicoterapeuta, ho avuto modo di entrare in un ospedale psichiatrico e la sensazione di gelo, di freddo, di isolamento, ha lasciato in me un ricordo forte.
La FOLLIA e la DEVIANZA sono state affrontate nello stesso modo: i "folli" venivano chiusi nei cosiddetti "manicomi, i "devianti" nelle carceri. Mentre però per la follia è nato il "movimento di psichiatria democratica", che è andato contro la stigmatizzazione della follia ed è riuscito a introdurre la famosa legge Basaglia che ha portato alla chiusura dei manicomi, per la devianza questo movimento non c'è ancora stato. Per quanto riguarda i "malati mentali" si è così riusciti a passare dalla reclusione alla cura; cura attraverso i gruppi, cura attraverso la reintegrazione.
Quello che vedo oggi mi fa pensare che c'è la possibilità di "smantellare le mura" che ci separano dalla realtà del carcere, non solo con la generalità dell'amore, ma soprattutto fornendo gli strumenti adeguati di cura.
Le parole della dott.ssa Giovanna Fratantonio sulla sfida:
Sono 28 anni che lavoro in carcere e credo di conoscere questa realtà meglio di molti altri. S. Vittore è un banco di sfida, sia per i devianti, che per i cosiddettti "benpensanti", che per i legislatori. Vale la pena che esista S. Vittore? Vale la pena l'esistenza di tutti questi S. Vittore nel mondo?
Proviamo ad entrare nella filosofia del diritto e chiediamoci: a cosa serve punire? Chi deve punire chi?
I ragazzi che arrivano al Beccaria vogliono esserci come gli altri, vogliono le cose che la società suggerisce di volere; vorrebbero avere il potere che tutti vogliono; questo è un valore riconosciuto universalmente. Il potere è qualcosa a cui tutti aspiriamo.
Quanto può capire una persona, attraverso la costrizione, che arrogarsi la facoltà di abusare dell'altro non nasce da un proprio desiderio, ma dalla incapacità di individuare i propri desideri e dalla difficoltà di reperire gli strumenti per farlo?
La sfida è arrendersi alla vita: accettarla con amore, indipendentemente dal potere che si ha, amarla per quello che è e amarla attraverso l'amore per l'altro.
E infine ecco cosa ha detto il prof. Aparo sulla sfida:
(in tutto ciò che dice c'è un continuo riferimento all'impianto audio che non funzionava)
La sfida serve per individuarsi, a volte contrapponendosi ai genitori, a volte urlando nelle orecchie dei genitori il nostro bisogno crescere insieme a loro.
La sfida appartiene all'uomo; significa allargare i confini per esistere e riconoscersi. Si può fare contro le persone e la società, oppure con le persone e con la società.
C'è la sfida contro il tiranno e la sfida per attraversare l'oceano e trovare chi ci aspetta dall'altra parte.
La sfida che ripaga, la sfida dell'uomo sociale è quella che si fa imparando a mettere insieme le forze.
| Ieri abbiamo messo insieme le nostre forze e abbiamo "sfidato" (se così si può dire) il caldo, l'impianto stereo scadente, la stanchezza. Perchè la meta la conoscevamo tutti e tutti avevamo un remo per condurre la nostra barca lì. Come dice Dino, ciò che stiamo facendo non è altro che "la punta di un iceberg", ma, come in tutte le cose si inizia sempre dal piccolo.... in fondo... per fare un bambino ci vogliono 9 mesi!!!! Credo che sia importantissimo avere qualcuno che sostenga la nostra attività: l'università o che so io. Abbiamo bisogno di spazi dove incontrarci, dove lavorare. Confido nella nostra buona volontà e spero che qualcuno possa recepire il nostro impegno e darci una mano nel nostro progetto.
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Concludo con un auspicio: mi è parso che quella famosa barricata che separa società e detenuto, sia stata costruita (e quindi può essere distrutta), oltre che dalla società, anche dai detenuti.
Ieri li ho sentiti parlare di "benpensanti", "borghesi", la "società": tutti luoghi comuni e pregiudizi che vanno abbandonati o che, per lo meno, vanno messi in gioco.