Luci e Ombre
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| Filosofo impegnato intorno al problema fenomenologico, ereditato da Husserl, Martin Heidegger pose al centro della sua riflessione anche natura e funzione del linguaggio, che egli distinse tra linguaggio sottoposto alla legge dell'utile, ridotto a comunicazione e informazione, e linguaggio poetico, l'unico vicino all'"essere". |
L'elaborato di Edoardo Sozzi sul tema proposto dal film Arancia Meccanica si conclude con un auspicio al "progressivo disvelamento della Verità". Quest'affermazione dal sapore heideggeriano porta a pensare che esista una Verità e che nostro dovere sia la sua messa in chiaro. La ricerca della verità da Platone in avanti si persegue mediante la scienza (episteme).
Il pensatore tedesco, invece, riteneva che i fatti non avessero alcun significato, alcuna verità; questa veniva a dipendere di volta in volta dal contesto e dalla griglia concettuale nella quale i fatti venivano inseriti. Con Heidegger perciò si ritorna alla concezione aristotelica per la quale fare scienza significa indagare le cause dei fenomeni, trovarne i motivi, reddere rationem. Questa impostazione è presente in tutti i lavori proposti, sebbene il punto di vista di volta in volta assunto sia di caratterizzazione sociale, psicologico-evolutiva, ambientale ecc.
Si dice per esempio che Alex (il protagonista della vicenda) vive in una famiglia operaia, il film si sofferma sulla periferia degradata di una città industriale, l'assenza dei genitori da casa è rimarcata e così via.
in questo caso il comportamento asociale sarebbe una reazione ad una figura paterna con la quale è troppo difficile misurarsi. | D'altra parte soggetti con tali propensioni sono spesso inseriti in famiglie molto abbienti, e allora la causa è ricercata nel contesto viziato dei figli di papà, ma andrebbe ugualmente bene se trattasse del figlio di un grigio impiegato, che fa certe cose per ribellarsi al conformismo e alla scarsa autorevolezza paterna;o se si trattasse di un figlio di un padre troppo importante e celebre: |
Un interlocutore accorto potrebbe rispondermi che ognuna di queste di per sé non è determinante, è il loro intreccio ad esserlo. E' il ragionamento che semplificato si può illustrare con l'esempio della scatola per topi: che cosa è in grado di tenere in gabbia i topi? Certamente nessuna delle parti che compongono la satola è in grado di farlo da sola; tuttavia com'è possibile che le stesse parti che non hanno, singolarmente prese, la capacità di contenere il movimento dell'animale, se messe insieme, ne impediscono la fuga? Quel che tiene prigioniero il topo è il modo in cui la scatola è in grado d'impedire il movimento, giacché ciascuna tavola blocca la possibilità di fuga in una certa direzione. Il "segreto" della scatola risiede dunque nella particolare modalità in cui le tavole tutte, in altre parole le varie componenti, sono sistemate e interagiscono l'una con l'altra, impedendo in tal modo il movimento in qualsiasi direzione. E' pur vero che ciascuna tavola, parte del tutto, se presa singolarmente non possiede la capacità di contenere, ma è poi anche vero che ciascuna parte arriva a contribuire al contenimento, perché disposta in una particolare maniera con le altre.
Ho usato l'esempio emblematico della prigione per il topo proprio perché a questo punto è inevitabile il confronto sul tema centrale dell'elaborato sul film Arancia Meccanica, e cioè quello della libertà, della scelta, del libero arbitrio. Prima però mi sembra doveroso soffermarmi un attimo sulle citazioni di Kubrick con le quale E. Sozzi ha acutamente corredato il lavoro. Alex è definito un "mito psicologico". Infatti, contro l'intenzioni del suo Autore, ha suscitato molti episodi d'emulazione, fino alla decisione di Kubrick di ritirare il film dalle sale. Perché il male assoluto è così affascinante, perché la violenza è così seducente, malgrado tutte le nostre pretese morali? Come mai film di successo quali Jesus Christ Superstar non hanno indotto nessuno ad una vita di imitatio Christi, mentre Arancia Meccanica all'opposto sì? Si potrà dire che la violenza è più facile e richiede meno fatica nella sua messa in opera, d'accordo, ma questo non spiega molto.
Ritornando al problema della scelta, fino a che punto Delbert, viste le cause ambientali di sradicamento, sociali, d'emarginazione, droga ecc. può essere ritenuto responsabile? In quale momento ha scelto, o ha perso il timone della propria vita trascinato dalla deriva che lo ha portato nel braccio della morte? Per quali intrecci motivazionale un padre di famiglia d'origine meridionale, che si è fatto da solo ecc. all'improvviso usa un'arma per vendicare l'onore del figlio, o meglio il suo?
Le cause sono interne (psicologiche, caratteriali) o esterne (sociali, economiche, ambientali)? Se anche diciamo che le une si combinano con le altre, forniamo senza dubbio una spiegazione più elegante, ma non otteniamo alcun progresso nella reale comprensione dei fenomeni, perché alla fine siamo costretti a ridurre sempre o gli accadimenti al mentale o lo psicologico all'esteriore.
Il tentativo di spiegazione sulle micro e macroscelte non convince, perché riduce solo il problema delle macro a quello delle microscelte che rimangono ugualmente enigmatiche.
Ricorriamo ad un altro esempio: quello dello studente che si reca una mattina all'Università per un esame. Sceglie di dare l'esame quel giorno? Certamente no, la decisione deriva dal fatto che sono due mesi magari che studia per prepararlo, che ha seguito quel corso particolare, che lo ha scelto perché tempo prima si era iscritto a quella data Facoltà. E si è iscritto a quella Facoltà perché ancora prima aveva frequentato il tale liceo che gli aveva procurato quella particolare forma mentis, il liceo l'aveva completato per rispondere alle aspettative dei genitori che desideravano per lui una certa formazione e nutrivano nei suoi confronti determinate aspetttive e così via. Salendo quindi a ritroso nelle scelte, anche nelle più apparentemente insignificanti, si è costretti alla fine a perdersi nelle nebbie dell'origine o a far ricorso ad una causa prima, si chiami questa Dio o destino.
Tuttavia questo modo di pensare si oppone al sano senso comune che è ben certo della sua identità e convinto di dirigere se stesso, almeno in molte circostanze. Questo convincimento d'altro canto non prova niente, anche perché l'Io, il Sé, l'autocoscienza ecc. sono nozioni che non reggono a tutta una serie di obiezioni. La sola sensazione di essere al comando, con controllo pressoché completo dei centri direzionali del corpo agente, non ha, neppure questa, alcuna base scientifica. Il fatto che, in genere, il nostro corpo risponda a certe sollecitazioni non significa nulla, anche la nostra auto funziona, per quanto non ne sappiamo il motivo, salvo se siamo esperti meccanici.
La nostra fiducia nella padronanza di noi stessi è solo una sensazione che si giustifica con l'ignoranza, e con l'ideologia che tende a colmare il vuoto di sapere circa il funzionamento del corpo, cervello compreso. Le concezioni scientifiche moderne non lasciano spazio alcuno alla cosiddetta libertà della volontà umana: tutto quel che accade nell'intero universo, e pertanto anche in noi stessi, nel nostro corpo, da considerare alla stregua di ogni altro organismo, è determinato da quel che è accaduto nel passato (l'ereditarietà ne è una prova), oppure dipende dal caso. E' quel che capita a tutto il corpo, e quindi anche al cervello. Poiché la mente è quel che il cervello fa, anche per i suoi componenti valgono le stesse leggi: leggi fisse e deterministiche, che interagiscono con un sistema aleatorio di accidentalità incontrollate e imprevedibili. Tertium non datur.
Si è nella necessità o anche nel caso. Quali che siano le azioni da noi 'scelte', esse non possono minimamente cambiare ciò che altrimenti avrebbe potuto essere, perché le inesorabili leggi naturali avevano già causato gli stati mentali che ci hanno fatto decidere in quel modo. E anche se la scelta è stata fatta in parte per caso, non vi è comunque nulla che noi possiamo decidere. Ogni nostro comportamento dipende da numerosissimi processi interni alla mente. Ne comprendiamo solo alcuni, ben pochi per la verità, la maggior parte è a noi ancora ignota. Noi li attribuiamo alla nostra volontà, al libero arbitrio, all'autocoscienza. E' un modo, il nostro, per esercitare l'ignoranza e il timore di essere dominati da forze interne, che non abbiamo alcun modo di controllare: assegnamo nomi, privi di realtà, a cose che non conosciamo.
Per tornare ad Heidegger, dal quale eravamo partiti, siamo così ricondotti al mistero (Geheimnis) che vela le faccende umane, e dal quale possiamo guardare alle nostre velleità di Giustizia e responsabilità con ben altre pretese.