Livia Nascimben | Martedì 19 Novembre 2002 |
Il mio diario di bordo: 18 novembre 2002, per tre ore ospite su La Nave.
Mi chiamo Livia, ieri sono stata invitata, come membro del Gruppo della Trasgressione, all'inaugurazione del reparto "La Nave" al terzo raggio di San Vittore.
Muri bianchi, pavimento con piastrelle bordeaux, porte verdi, disegni e foto appesi in corridoio, ambiente pulito e luminoso. In carcere, con le sbarre alle finestre, le porte blindate e le telecamere che dall'alto ti osservano; eppure per tutto il tempo trascorso fra quelle mura mi è sembrato di essere in uno dei tanti centri educativi, ricreativi, di ritrovo che vivono all'esterno delle mura.
E' stato molto forte entrare in carcere: essere scortati dalla guardie, percorrere tutto il primo raggio, arrivare per la prima volta nel cuore di San Vittore, al centro dell'esagono da dove partono i sei raggi, sotto un'enorme volta affrescata, sentire un odore forte, misto di candeggina, disinfettante, sporco, muffa, essere in un luogo ampio con una bassissima luminosità e vedere attorno a me persone che si affacciavano alle sbarre dei cancelli, pensare per pochi attimi a quante vite si sarebbero potute raggiungere da lì: una, 10, 1000 persone, ognuna con la propria storia, le proprie pene, i propri limiti, le proprie responsabilità e le proprie risorse nascoste dietro muri difficili da abbattere. Passato il cancello del terzo raggio il contrasto è stato violento: l'ambiente è diventato accogliente, i muri dipinti, non scrostati, i pavimenti puliti, non grigi, per le scale oblò dipinti con acquarelli ti davano la sensazione di salire su una nave. Luminosità, freschezza, leggerezza in contrasto con la sensazione opprimente e soffocante che avevo provato fino a pochi istanti prima.
Arrivati al reparto siamo stati accolti ad uno ad uno e a tutti è stato dato il benvenuto con un piccolo manuale, una guida da usare durante la permanenza nella Nave. C'era molta gente, cittadini liberi e detenuti, studenti, operatori di servizi esterni al carcere e personale di San Vittore, agenti e personaggi illustri insieme, liberi di muoversi nel piano e interagire.
Un detenuto e il direttore del carcere hanno tagliato insieme il nastro inaugurando ufficialmente il reparto, televisione e fotografi hanno documentato l'evento.
La Nave ci è stata presentata da Graziella Bertelli e Serena Pellegrini, due membri dell'equipe che lavorano a bordo, e da Roberto Luchini, uno dei marinai.
La Nave ospita detenuti tossicodipendenti, ma non è una comunità per tossicodipendenti né per le competenze strutturali né per l'impianto teorico sottostante, sebbene ne condivida gli obiettivi, il recupero e il reinserimento in società dei suoi ospiti.
All'interno del reparto viene lasciata la libertà di muoversi, favorita la socialità, organizzate numerose attività psico-relazionali e incentivata l'organizzazione autonoma del proprio spazio per contrastare il danno grave provocato dal tempo morto che si vive in carcere e dalla passivizzazione che ne consegue.
Gli ospiti, chiamati "residenti", appellativo che meglio rappresenta il senso del lavoro e il clima che si respira nel reparto, sottoscrivono un contratto formale di osservanza delle regole fondamentali di vita comunitaria: impegno nelle attività, rispetto di spazi e persone, impegno a non essere violenti, a non usar un linguaggio inadeguato al vivere comune e a non far uso di sostanze.
Due riunioni aprono e chiudono la giornata; musica, pittura, computer, gruppi di psicoterapia e percorsi individuali, gruppi di mediazione, giochi, attività ricreative.. sono alcune delle attività in programma da gestire all'interno della settimana; il diario di bordo viene scritto giornalmente da marinai e comandanti.
Il reparto, gestito da operatori e psicologi della ASL di Milano, è un osservatorio privilegiato di misure alternative; un luogo senza vincoli rigidi e con spazi decorosi dove vivere, con un rapporto fra detenuti e equipe costruito sul piano del piacere e del calore umano, oltre che fondato sul lavoro e sull'impegno personale.
Le migliori condizioni di vita, gli atteggiamenti di apertura e collaborazione da parte degli agenti penitenziari e del direttore Luigi Pagano oltre che degli operatori, la comunicazione con strutture esterne al carcere in vista del reinserimento lavorativo ed educativo nel tessuto sociale una volta finito il tempo della reclusione; tutto questo diminuisce il livello di rabbia del detenuto e favorisce un atteggiamento propulsivo e costruttivo.
Suggestiva la metafora della nave, un'immagine che rimanda al viaggio, all'avventura, un percorso di conoscenza alla riscoperta di se stessi. Un'opportunità per lavorare su se stessi affrontando mille tempeste, il vento, la pioggia e la nebbia alla ricerca della terra ferma.
Suggestiva è stata la canzone suonata e cantata da un gruppo di residenti coordinati dal maestro di musica ed educatore Alejandro Jardi. Un momento intenso e ricco di emozioni, avrei voluto scrivere i versi del testo della canzone che più mi colpivano, ma l'energia e la vitalità che il gruppo trasmetteva impedivano di fermarsi per fissare sulla carta le parole. Il testo della canzone faceva riferimento alla nave, alle difficoltà che s'incontrano viaggiando, al coraggio che bisogna avere a sfidare il mare e sfidarsi e alla paura che questo comporta, alle spinte ad andare avanti e quelle a tornare indietro. E' stato un crescendo di ritmo, di intensità delle parole, di coinvolgimento.
A casa ho portato, oltre ad un segnalibro fatto dai detenuti come ricordo della giornata, immagini, colori, luce e musica, in contrasto con la sensazione di buio e mancanza d'aria che provi percorrendo il primo raggio. Paradossalmente in carcere non ho avvertito la presenza delle sbarre, mi sono sentita libera, ma una volta fuori prigioniera dei muri personali che ho dentro, quei muri che mi impediscono di esprimere me stessa utilizzando la mia voce e il mio corpo. E dunque, sensazioni e immagini contrastanti che rappresentano metaforicamente aspetti inseparabili della realtà: il bene e il male, le luci e le ombre, la costruttività e la distruttività.