San Vittore, nelle nuove celle | Martedì 19 Novembre 2002 |
di Anna Fregonara
CELLA 411, San Vittore, terzo reparto, quarto piano. Lele, 33 anni, tossicodipendente, da tre mesi vive qui, in piazza Filangieri 2. Deve scontare ancora due anni e mezzo di carcere per una serie di rapine a mano armata e non. Per un colpo di testa si è giocato l´affidamento in prova al servizio sociale, una misura alternativa alla detenzione, per questo è stato rinchiuso di nuovo. Non in una sezione qualsiasi, ma nel nuovo reparto di trattamento avanzato per le tossicodipendenza che ha inaugurato ieri il progetto «La Nave», nato per iniziativa degli operatori della casa circondariale, della polizia penitenziaria e della Asl Città di Milano.
Alcuni lo giudicano un albergo a cinque stelle extra lusso, dipinto di fresco in bianco e verde, decorato con molti oblò disegnati a mano attraverso i quali si vede il cielo e il mare: i detenuti possono scorrazzare per tutto il piano dalle 9 del mattino alle 9 di sera (nelle altre aree le porte sono chiuse 22 ore su 24 salvo alcune ore la settimana per ginnastica e altre attività), organizzano corsi di pittura, musica e computer, cucinano, ordinano giornali e spesa tre volte alla settimana tenendo sotto controllo la disponibilità che hanno da spendere su una specie di libretto di conto corrente, si riuniscono in una sala comune a leggere, guardare la tv, ascoltare la radio, ammirare un acquario con pesci rossi. Lele mi invita a vedere la sua stanza: «Vieni, fai come se fossi a casa tua, anche se non te lo auguro». E´ ampia: cinque brande, al centro un tavolo da pranzo, al di là di una porta c´è una piccola cucina. Il bagno è dotato di doccia, acqua calda e bidet. «Tre cose che nelle celle delle altre sezioni non ci sono. Può sembrare strano parlare di conquista, ma per noi il bidet è stata proprio una conquista» confessa Lele. Accanto ai letti qualche fotografia, alcuni disegni, una bandiera dell´Inter, un cappellino della Ferrari. Lo spazio tra la finestra e la grata è usato a mo´ di frigorifero, cibo e bevande sono accatastati anche lì. «Preferiamo cucinare noi, i pasti della mensa sono immangiabili - racconta Lele - Gli altri detenuti ci chiamano i "paraculi", ma mi auguro davvero che la ristrutturazione che ha preso il via con la mia area, possa presto essere estesa a tutti i raggi del carcere, dove dominano celle sovraffollate con un bagno e basta».
Chi sceglie se un detenuto può essere «imbarcato» o meno sulla Nave da 45 posti? «Il soggetto, al suo ingresso in istituto, riceve una prima collocazione nel II reparto detto Coc, riservato, per intenderci, all´osservazione, valutazione e trattamento dei tossicodipendenti - spiega Serena Pellegrini, da 23 anni dipendente a San Vittore -. Poi, in presenza di una richiesta e di un parere positivo espresso collegialmente sulla base di criteri specifici da un´équipe, è possibile salire a bordo della Nave. La condizione giuridica non è oggetto di esclusione: l´accesso è permesso sia a persone condannate sia in attesa di giudizio. Quest´area non è una comunità, non è una custodia attenuata, ma è una zona franca. I detenuti si chiamano residenti, vivono in un ambiente confortevole, che favorisce la socializzazione, le attività ludiche e creative, l´autoresponsabilità e l´autorganizzazione, per contrastare il danno provocato dalla detenzione: tempo morto e disattivazione di sé». In cambio, a questi detenuti speciali (per ora circa 35) viene chiesta la sottoscrizione di un contratto di adesione che prevede cinque punti: impegno a organizzare e partecipare alle attività; condividere gli spazi e rispettare l´ambiente; non avere comportamenti violenti; non usare un linguaggio irrispettoso; non ricorrere a sostanze stupefacenti. La giornata tipo inizia alle 10 con un alzabandiera nella sala comune. Poi, fino alle 16, l´agenda alterna ore di calcetto a sedute di psicoterapia, cinema in cassetta a corsi di informatica organizzati dagli stessi internati, gare di ping pong a visite mediche per la distribuzione di metadone. I parenti possono fare sei visite alla settimana autorizzate dal giudice, inviare un pacco al massimo di cinque chili. Le telefonate consentite sono due.