| Incontro del Gruppo della trasgressione |
Redazione | 07-11-2005 |
Aparo, raccolti alcuni interventi che segnalano disagio, fa notare che, in questo momento, il gruppo non è più il gruppo fondato nel 1997 e nemmeno il gruppo costituito da detenuti e studenti di psicologia che hanno lavorato assieme dal 2001 ad oggi. Allo stato attuale il gruppo è costituito da nuovi e vecchi membri (detenuti, studenti di psicologia, giurisprudenza, filosofia, docenti universitari e direttori d’azienda), persone che non hanno una storia comune, che parlano linguaggi differenti, da cui il senso di smarrimento provato da alcuni e la necessità di costruire materia comune su cui lavorare e riconoscersi.
Vengono ricordati gli appuntamenti di novembre e dicembre: tra cui, il concerto sulle musiche di De Andrè e diversi incontri sul tema dell’imperfezione con Padre Bertagna, gli psicoanalisti Sisto Vecchio ed Enzo Funari, due esponenti del Rotary Club, il dott. Schiatti e il Dott. Casiraghi, studenti e docenti della facoltà di Giurisprudenza.
Successivamente viene letta e commentata una poesia di Giovanni, Fuoco.
Gianni: Inizio io! Il tema che affronta lo scritto è quello dell’indecisione.
Marta: Questo scritto richiama lo scritto di Cristian: l’alternarsi della spinta a farsi avanti e della spinta a tirarsi indietro che caratterizza l’uomo. Mi colpisce questa frase: “La paura di perdere il poco che già ho ma che è nulla, finché incompleto”; mi fa venire in mente che le cose attorno a noi sembrano sparire quando ci concentriamo sui nostri fantasmi anziché sulle relazioni.
Raffaele: Secondo me Giovanni esprime il desiderio di spendere energie e la paura di perderle, che brucino troppo in fretta e vadano perdute.
Armando: Invece per me dallo scritto emerge la consapevolezza di avere qualcosa da dare agli altri. La paura è di potersi completare, di fare brillare una luce forte, che possa servire maggiormente. Secondo me questo è lo scritto di una persona che si sente crescere e ha paura di non sapere controllare la propria crescita.
Silvia: Giovanni parla di conflitti interni: come utilizzare le proprie forze, la capacità di orientarle in senso costruttivo e il timore di non riuscire a farlo, quanto darsi e quanto stare indietro.
Pasquale: La consapevolezza dell’incertezza e della paura sono per me segnali positivi ed elementi utili nelle scelte di ogni giorno. Si sente che la poesia è scritta da una persona giovane, che sta crescendo e combatte con le paure di fronte alle scelte.
Cinzia: Secondo me, forze, paure e conflitti sono caratteristiche dell’individuo che si trova a passare da una condizione meno evoluta ad un’altra più evoluta, indipendentemente dall’età.
Mario: Lo scritto mi evoca l’immagine di un uomo che cammina ai bordi di una spirale; la paura non è di cadere nel fondo ma di partire per la tangente e non sapere più dove si sta andando. E’ la ricerca di qualcuno molto esigente nei propri confronti, che si mette spesso in discussione e cerca.
Dimitar: Lo scritto parla di una lotta interna, ma mi chiedo da dove nascano conflitto e desiderio.
Sofia: E’ la prima volta che partecipo ad un incontro del gruppo come membro effettivo e mi fa effetto che una persona metta sul tavolo uno scritto così intimo, sento la forza del gruppo di lasciare lo spazio all’espressione di sé. A proposito dello scritto, mi viene in mente che gli ebrei nello scrivere scrivono solo le consonanti, omettendo le vocali: per capire le parole occorre capire il posto lasciato dagli spazi, occorre tenere conto anche delle vocali, così come per capire lo scritto di Giovanni occorre prestare attenzione a ciò che non è detto. Dello scritto ricordo quattro parole: paura, fragilmente, forza e bellezza.
Domenico: Sento nelle parole di Giovanni la paura di cogliere il momento, di scegliere qualcosa che potrebbe condurre al vuoto anziché a qualcosa di sognato, e mi identifico.
Livia: Mi sono venute in mente tre cose: lo scritto di Cristian letto sabato che sottolinea il conflitto tra la paura e il desiderio di esprimersi; la paura a volte, quando mi esprimo, di stare tradendo la parte di me stessa problematica che mi ha accompagnato per molto tempo (quando non parlavo!); e un concetto espresso dal prof al seminario a Giurisprudenza: gli agenti della rieducazione (operatori carcerari, cittadini comuni e gli stessi detenuti) devono occuparsi delle condizioni che rendono possibile coltivare la libertà di evolversi, la libertà di “sentirsi liberi da vincoli a recitare una parte”, quella del rapinatore, del tossicodipendente, del nevrotico.
Aparo: Tra i diversi passaggi dello scritto, mi colpisce questo: “Forse una risposta sta nel calore e nella luce che riesco a diffondere bruciando senza disperdermi in cenere nell’aria”. Chi scrive spera che altri ne ricavino un utile dal suo mondo interiore fatto di incertezze e paure.
L’idea che la sofferenza, il conflitto, il desiderio e le incertezze di una persona, nel mentre fanno vivere e soffrire, diventino contemporaneamente luce e calore per altri è uno degli obiettivi principali del gruppo: tutte le esperienze, anche quelle più dannose e dolorose, è utile che vengano lavorate affinché possano diventare materia di costruzione per la persona stessa e per gli altri.
Nel poco tempo rimasto viene letto e commentato uno scritto di Mario, uno dei nuovi detenuti che fanno parte del gruppo.