Incontro sulla libertà di scelta

Redazione

18-07-2005

Oggi al gruppo tornano gli studenti di Giurisprudenza con cui abbiamo lavorato per il convegno di giugno sulla punizione. L’incontro si apre con una reciproca dichiarazione di stima e il desiderio di continuare a lavorare insieme per i futuri progetti. Tra i temi individuati: il rancore, la dipendenza, il divenire del reato.

Vengono letti e commentati due scritti: “Almeno vento” di Walter Madau e “Il gioco del nascondino” di Armando Xifaij.

Diversi interventi evidenziano che Walter nel suo scritto parla di come, nella sua vita, abbia indirizzato i propri desideri ricercando prima il tutto e subito poi la costruzione di una ragnatela, sentita un tempo appiccicosa e, a poco a poco, strumento e simbolo del lavoro di tessitura e collaborazione con gli altri. L’uomo, gradualmente, può rinunciare all’onnipotenza (del fulmine) e riconoscere l’importanza di lavorare una tela di relazioni, concedendosi ogni tanto la fantasia di sfiorare la bellezza (essere almeno vento). Armando chiede una mappa: strumenti e relazioni che consentano all’uomo di non nascondersi per una vita intera.

Aparo ricorda al gruppo una delle domande poste ai professionisti che hanno partecipato al convegno sulla punizione: la legge chiede al detenuto di ubbidire alle norme o di interiorizzarle?

Il prof. Marinucci al convegno ha risposto che la legge non può attendersi l’interiorizzazione delle norme da parte del detenuto. E ha posto questo problema: se una persona che incarna l’autorità dà indicazioni su ciò che “va interiorizzato”, c’è il rischio che si profili una situazione in stile “Arancia meccanica”, insomma una violazione della libertà di scelta dell’individuo. Di fronte alla legge, diceva il prof. Marinucci, l’uomo deve essere lasciato libero di scegliere come porsi.

Per Borasio l’uomo deve costruirsi da solo la propria mappa e avere la libertà di sceglierne le strade. Il problema che di volta in volta si pone, tanto al genitore quanto per l’uomo di legge, è il rischio che la mappa proposta dall’esterno possa risultare invadente: “…al figlio, allo studente, al detenuto devo dire cosa fare o cosa fare lo deve scegliere l’individuo?”

La questione è dunque il problema della libertà di scegliere.

Aparo evidenzia come la libertà di scelta si possa declinare al meglio solo se nella mente dell’individuo esistono uno spessore affettivo e lo spazio per un’immagine non persecutoria dell’altro. E’ inverosimile che la scelta di fronte ad un bivio per una persona che ha beneficiato del nutrimento che viene dal gioco, dall’amore, dal riconoscimento del proprio valore, dalla fiducia nei propri strumenti sia libera quanto la scelta di una persona che non ha avuto nella sua vita questo nutrimento. Cosa permette la costruzione degli strumenti per una scelta consapevole? Cosa permette la costruzione di una mappa utile?

La conoscenza del rapporto fra causa ed effetto non è sufficiente. Se così fosse come mai si concede tanto spazio a pratiche che molto spesso sono nitidamente autodistruttive? Occorrono evidentemente delle condizioni affettive e degli equilibri interni affinché una scelta possa essere considerata libera. Considerare libera scelta l’azione di un uomo che uccide, probabilmente, può bastare per condannare, ma non per comprendere come sia giunto a uccidere.

L’incontro si chiude con un arrivederci a settembre e l’invito all’intero gruppo di provare a riassumere quanto ricavato dal discorso sul “la libertà della scelta” per incrociare la sensibilità di chi studia legge con quella di chi studia psicologia e con l’esperienza di chi, detenuto o studente, “… sceglie liberamente di infelicitarsi l’esistenza”.