La solitudine
sull'incontro del 22-12-2003

Silvia Casanova

22-12-2003  

Presenti al gruppo: Claudio, Enzo, Tarek, Ivano, Giovanni, Dino, Giulio, Diego, Nello, Marcello, Cosimo, Marta, Livia, Rossella, Giampietro.

Livia arriva a San Vittore con dei biscotti fatti da lei da appendere all’albero di Natale. Con essi offre dei bigliettini di auguri personalizzati, scritti a mano. La reazione del gruppo è un’inattesa ondata di commozione. La sorpresa e l’affetto si associano all’amarezza di un Natale in cui le persone con cui lavoriamo, alle quali siamo ormai legati da un profondo affetto e dal rispetto per aver coltivato insieme il nostro grande albero. I detenuti del gruppo non passeranno di certo il Natale come gli studenti.

Marta a stento trattiene le lacrime e a un tratto gli argini si rompono: “Dalle relazioni sono scappata sempre prima io, per la paura di restare sola per scelta degli altri”.

Ci torna in mente lo scritto di Enzo “Manichini in Vetrina”, in cui si parla del bisogno di difendersi dalla dipendenza che provare affetto comporta. In un documento di qualche tempo fa anche Dino diceva che per sopravvivere si usano tecniche di protezione affettiva: “ma queste, pur parando i colpi, tolgono anche parti vitali molto importanti”.

La discussione si sposta sempre di più sulla questione del legame affettivo.
Enzo dice che si impara a sopravvivere in carcere solo avendo legami controllati; aggiunge che, venendo al gruppo ed entrando in relazione con gli studenti, questo modo di vedere le cose è un po’ saltato.

Enzo, Claudio, Dino, ciascuno a modo proprio, dicono che “dopo aver imparato a fare il detenuto” (cioè a rendersi affettivamente indipendente dai compagni, ad esempio, rimanendo indifferenti quando un compagno di cella va via), adesso stanno cominciando ad accettare le relazioni affettive fra di noi, anche se non sono sotto il loro controllo.

Per fruire della presenza degli altri occorre aprirsi alla relazione, ma questo espone al pericolo dell’abbandono; per questo si mettono in atto le strategie difensive, che a volte raggiungono, come dice Dino, “la scaltrezza del vietnamita nella jungla”.

Questo si attua a volte, riservandosi la facoltà di scegliere se venire o non venire al gruppo, di essere più o meno in ritardo, di partecipare più o meno attivamente. Queste modalità costituiscono una forma di ricerca di indipendenza affettiva, un piccolo margine di scelta, in un luogo in cui "il potere di intervento nella relazione non è tanto nel poter prendere l’altro quanto nel poterlo lasciare”.

Marcello raccoglie la palla dicendo che personalmente “lascia” e “prende” per affermare di esistere, per il bisogno di sentirsi considerato.

Rossella parla del suo rapporto con la solitudine, che a volte per lei “diventa l’unico mezzo per conservare un rapporto dentro di sé con l’immagine di una persona”.

Dino osserva che “la solitudine prolungata allontana così tanto dalla relazione che può arrivare a far abortire il rapporto stesso ancor prima che nasca”. Aggiunge che quando si trovava in un altro carcere aveva smesso di scrivere anche i biglietti di auguri per Natale. “Quando non si hanno margini di decisione ci si sente obbligati a rintanarsi. Quando ero detenuto a Parma tenevo le emozioni a distanza; qui, nella nostra relazione mi sento molto più aperto, anche se da detenuto questo tipo di sentimenti mette in una situazione difficile da gestire”.

Nello si rivolge alle ragazze del gruppo: ”Le vostre parole, i vostri regalini di Natale, i dolci, la vostra presenza costante sono uno stimolo a non lasciarsi andare. Senza l’affetto della famiglia si perde la strada”.

Ci salutiamo e ci auguriamo Buon Natale. Ognuno prende il suo biscotto e il suo bigliettino. Ci si abbraccia e ci si saluta sapendo che ci aspetta un 2004 ricco di lavoro.