GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE

Cosimo Colbertaldo

Riunione del 3-05-2003 - Genitori e figli


Viene letto lo scritto di Valdimar intitolato “L’incertezza”.
Si parla della volontà di sfidare la vita, non la morte, cercando di sfruttare le proprie esperienze negative per la ricerca di un’armonia.
Lo scritto risponde ad alcune affermazioni di Ivano espresse all’ultimo incontro del gruppo, con le quali Ivano rivendicava il valore delle scelte compiute in passato nel vivere ogni tipo d’esperienza, anche la più negativa.
Questa posizione, portata alle estreme conseguenze, può apparire illogica e autodistruttiva.

Si legge anche lo scritto di Marcello intitolato “La scuola”, in corrispondenza del quale avevano avuto origine le opinioni di Ivano.

Silvia
“Un’impressione a caldo sullo scritto di Marcello: mi sembra ambiguo e moralista. Non ritengo opportuna una separazione così rigida fra bene e male, fra vita “di strada” e di cultura. Ci sono delle gradazioni, delle differenze, ma anche dei passaggi fra un certo stile di vita e l’altro”

Aparo
Talvolta le persone adottano comportamenti distruttivi pensando di inseguire una nuova esperienza, una strada inesplorata. Spesso si tratta di atti che conducono alla soglia della morte, con la droga, l’alta velocità, il pericolo in generale.
A volte si crede di cercare una nuova conoscenza, mentre in realtà si sta mettendo in atto la ripetizione di un’esperienza dolorosa del passato, la riproposizione di un trauma nel tentativo di esorcizzarne il dolore. Si tratta di quella che in psicoanalisi viene chiamata coazione a ripetere.

Il concetto può essere riassunto in questo modo: vediamo se riesco a diventare padrone di ciò che mi faceva soffrire, se riesco a divenire attivo in una situazione in cui in passato ero passivo; da bambino subivo, ora cerco di pilotare la realtà riproducendo nella presente quella passata.
Come avviene nel sogno, c’è il recupero di esperienze traumatiche nel tentativo di passare dalla posizione di passeggero inerme di un’auto che va a sbattere alla posizione di conducente che cerca di intervenire sull’evento traumatico del passato.


Ivano
Da piccolo sono stato molto picchiato, ne ho sofferto, forse parte di quello che ho combinato, fra droga e rapine, è legato al tentativo di diventare parte attiva. Oggi provo rabbia e odio nei confronti di chi mi ha fatto soffrire, ma sto male perché incolpo loro; non mi piace sentire questa cosa.


Silvia
Quando hai bisogno d’aiuto, è forse il momento in cui sei meno disponibile a riceverlo. C’è la negazione. Io non ammettevo con nessuno di stare male, credevo di essere onnipotente e di poter controllare tutto. In realtà mi stavo facendo del male e avevo bisogno di essere aiutata.

Enzo
Vorrei proporre un tema che mi sta molto a cuore: i figli dei detenuti.
Come si deve comportare un padre, che vive in carcere, nei confronti dei figli?
Già gli ho creato problemi e conflitti; cosa posso fare per aiutarlo?

Aparo
Mi piacerebbe sentire l’opinione di tutti al riguardo.
Posso dire intanto che un bambino di solito non riesce a dare una risposta attendibile alla domanda “Perché mio padre non c’è?”, non ne ha gli strumenti; non è in grado di decifrare perché il padre sia sparito. Resta per lui la domanda perforante; perché Il bambino sa che quell’assenza gli fa male, che è stato ferito e che qualcuno è colpevole.

Diego
Io ho vissuto la famiglia in un’epoca agricola: si cenava insieme e si parlava, non c’era la televisione. Non ho consigli particolari da dare, penso solo siano importante il dialogo e la vicinanza, per quanto possibile.

Claudio
Credo sia molto importante che un padre abbia una credibilità nei confronti dei figli. Non so come sia possibile ottenere questa credibilità attraverso i colloqui in carcere.

Guido
Non c’è una ricetta per questo tipo di problema, che per i figli si presenta come un guaio tanto quanto altre difficoltà possibili.

Ivano
Non ho figli. Secondo me le cose importanti sono la sincerità e l’affetto.

Francesco
Io avevo diciassette anni quando mio padre è stato arrestato. Ho quindi l’esperienza doppia della carcerazione, vissuta prima come figlio e poi come padre. Prima della separazione dai miei familiari conducevo una vita regolare; ero stato soltanto sei giorni al minorile. Improvvisamente mi sono trovato ad avere maggiori libertà, potevo fare tutto quello che volevo. Forse non ero completamente in grado di gestire la mia autonomia. Ricordo di avere mantenuto uno splendido rapporto con mio padre e di non avere vissuto traumi o mancanze.

Enzo
Io cerco di dire ai miei figli la verità. Sulla vita in generale, su me stesso come persona e sui motivi che mi hanno condotto qui. Cerco anche di non addossare loro i mie problemi, di non responsabilizzarli troppo visto che vivono già una situazione difficile. Non rispondo alle espressioni di rabbia che ogni tanto il più grande manifesta. Tuttavia col passare del tempo mi sento sempre più sotto pressione, sento che in qualche modo qualcosa è già stato rovinato.
Confido molto in mia moglie: è lei a occuparsi dei miei figli.
Credo siano importanti questi incontri perché mi arricchiscono di concetti e riflessioni, attraverso le quali posso dare maggiore spazio ai miei sentimenti e agire meglio sulla realtà.


Marcello
Mi coinvolge molto a livello emotivo questo argomento. Desidero che se ne parli ancora.

Valdimar
Le mie preoccupazioni vanno verso i bambini che nascono in carcere, poiché le loro madri sono detenute. Passano tre anni fondamentali per la crescita in questo ambiente; non certo il più adatto all’infanzia.

Silvia
Credo che già porsi la domanda avvicini alla soluzione. Ho vissuto l’esperienza di stare lontana da mio padre quando ero molto piccola. Ho sofferto molto per questo motivo e qualcosa nel nostro rapporto si era fortemente incrinato.
Poi mio padre si è aperto con me: ha pianto, ha ammesso i suoi errori, mi ha spiegato le sue ragioni, ha dato importanza al mio dolore, lo ha riconosciuto, e in questo modo, forse inconsapevolmente, mi ha dato importanza come figlia.
Da allora per me mio padre è tutto.

Maurizio
Sono contento che si parli di questo tema delicato. Sono nati spontaneamente in carcere dei gruppi di discussione sull’argomento.
Il rapporto con mia figlia è basato sulla dolcezza e sulla comunicazione, anche se per certe questioni sono intransigente.
Questa mia ultima carcerazione, forse paradossalmente, ha fatto crescere molto la nostra relazione. Mia figlia ha dodici anni, un’età in cui la figura paterna diventa molto importante. La quotidianità mia figlia l’ha sempre vissuta con me. Al colloquio mi parla sempre dei suoi problemi e delle sue difficoltà. Ogni volta mi si apre il cuore. Nella vita, oltre a diventare medico, sto imparando a fare il papà.
Certamente le istituzioni non ci aiutano.
La cosa importante, secondo me, è essere presenti nella loro vita anche da qui dentro.

Dino
Penso che la relazione fra genitori e figli sia la cosa più complessa del mondo.
E’ giusto seguire il figlio, annullando una parte di sé per andare incontro alle sue esigenze. La strada che indico è quella della negazione completa di se stessi. Bisogna assumersi le responsabilità per le quali si è in carcere, compreso il fatto di potersi vedere poco. Forse è utile dare un’immagine negativa di sé, affinché il figlio non ti prenda come modello.
Il mio consiglio è: ammettere i propri sbagli e cercare la complicità.

Rosario
Le esperienze devono farle i figli. Tuttavia non hanno persone con cui aprirsi e confidarsi. A me è mancata molto la figura paterna. Bisogna dirlo: sei più debole, tendi a lasciarti trascinare, quando cresci senza un padre a cui fare riferimento. Penso sia un bene comprendere gli errori e cercare di rimediare.
Ma che dialogo puoi avere vedendo tuo figlio una volta alla settimana?
Io ho una figlia di quattro anni e sono in carcere da quattro anni.

Aparo
Ho in mente due concetti che vorrei esprimere e chiarire.
Primo: è importante fare riferimento a ciò in cui si crede, a quello che ci sembra giusto.
Secondo: bisogna procurarsi gli strumenti atti a promuovere esperienze di vicinanza e collaborazione.

I figli succhiano dalla mente dei genitori anche quello di cui i genitori non sono coscienti. Catturano anche ciò che i genitori non dicono, sia nel bene che nel male, sentono gli atteggiamenti dei genitori verso il mondo, comprendono il rapporto sottile e invisibile fra il padre e la madre.
Capiscono se il genitore ha rispetto per sé, per il coniuge e per gli altri.
Ciò che racconti vale poco, vale sicuramente meno di come lo tratti. I figli sentono quando menti, le frottole sono inutili.
E’ necessario instaurare un dialogo autentico su ciò che riteniamo importante. Puoi acquisire credibilità, comunicando quello che per te è veramente un valore.

Cercare gli strumenti utili per fare ciò diviene prioritario specie quando i figli sono lontani. Quindi le lettere, gli scritti, quello che facciamo nel gruppo.
La relazione si nutre delle cose che si fanno insieme. Non c’è il calcio, non ci sono le gite, ma possono essere costruite altre cose. E’ importante rendere i propri figli partecipi dei propri progetti.
Credo si possa avere una funzione positiva pur essendo in galera.
La partita non deve essere considerata persa; è possibile giocarla.

Il limite esiste, ma non è invalicabile. Non bisogna fare comunicazioni dimissionarie, del tipo “sii ubbidiente o fai quel che dice la mamma”. Bisogna individuare insieme le cose importanti. A due anni i bambini hanno bisogno di latte e carezze, a dodici della condivisione di progetti e della vitalità delle persone che amano.