Mi pare quindi che questo piccolo dizionario abbia un grosso valore simbolico. Non saprei intendere altrimenti il titolo; "Pugni nel muro" è innanzitutto un lavoro, condotto insieme da detenuti e operatori civili, che trasforma uno scontro rabbioso, inconcludente, spesso autolesionistico - lo scontro dei pugni di un detenuto contro il muro - in una comunicazione costruita con le parole e sulle parole.
Non è meno importante che "Pugni nel muro" sia anche la consegna alla collettività esterna delle parole del carcere; ed è anche quello che nessun detenuto ha mai amato sentirsi attribuire: una collaborazione con la legge.
E' un libro piccolo, che in fondo contiene poche parole, ma che consegna queste parole a un lettore, violando la principale regola che caratterizza ogni gergo: quella di garantire una comunicazione cifrata ai membri di un gruppo ristretto, una comunicazione comprensibile per i membri del gruppo, ma che chiude l'accesso agli intrusi, a coloro che devono rimanere esclusi dai suoi segreti.
Il gruppo di detenuti che ha aperto l'accesso allo sguardo esterno, consegnando la propria lingua ai cittadini e alla legge, si è macchiato di un'azione che nel gergo della malavita si definisce "infame": infame è colui che accusa qualcun altro o che ne rivela i segreti al nemico, di solito alla polizia.
Se la società esterna vorrà raccogliere questa loro comunicazione, esiste il rischio che la roccaforte dove vengono custoditi i segreti del loro idioletto potrà essere presa d'assalto dai comuni cittadini, così che gli autori saranno responsabili di avere aperto le porte all'invasore.
Perché parlo di collaborazione con la Legge?
Perché la comunione delle parole consente che due o più interlocutori possano verificare la coerenza e l'attendibilità del discorso, permette di appurare che la lettura che chi parla dà della realtà corrisponda o meno alla visione che ne ha chi ascolta. E lo spazio in cui, grazie alla riconoscibilità delle parole, c'è modo di verificare le differenze e le concordanze sulla visione della realtà, è lo spazio della Scienza e della Legge.
A molti ciò che sto proponendo può sembrare un'iperbole, ma di fatto, se dalla roccaforte del gergo dei detenuti escono le loro parole, nella stessa roccaforte entra la legge.
Per verificare se quanto sostengo sia vero o falso occorre poco; basta semplicemente ricordare che, a pochi giorni dalla sua pubblicazione, "Pugni nel muro" è stato ritirato e ristampato proprio perché alcune sue parole proponevano una lettura della realtà inaccettabile per le persone di cui nel testo si parlava. E, grazie alla chiarezza delle parole, queste persone hanno potuto pretendere che le parole venissero modificate in favore di una descrizione che rispondesse meglio alla visione comune.
Qualcuno può pensare che ci vuol poco a chiedere scusa, a cambiare le parole dichiarate pubblicamente, mantenendo dentro l'idea originaria. Ma non è questo ciò che conta; conta che le parole dette e, ancor più, le parole scritte impongono il confronto e l'elaborazione del proprio pensiero.
Concludo dichiarando il proposito personale - che spero possa essere condiviso dai comuni cittadini, dagli studenti e da altri operatori penitenziari - di sfruttare la breccia che ha aperto nella roccaforte del suo gergo chi ha trasformato in parole i "Pugni nel muro".