Il rapporto difficile tra età e responsabilità

Adolescenti alla sbarra

 

MERCOLEDÌ, 28 NOVEMBRE 2001 REPUBBLICA

Negli Usa moltissimi giovani sotto i diciotto
sono stati processati da tribunali normali

 

MASSIMO AMMANITI


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E' iniziato in questi giorni a Torino il processo giudiziario ad Erika ed Omar, i due adolescenti di Novi Ligure accusati di aver ucciso in modo spietato la madre e il fratellino della ragazza. Il processo, oltre a comprovare in via definitiva la colpevolezza dei due giovani, dovrebbe cercare di rispondere anche ai molti interrogativi che l'opinione pubblica si è posta in questi mesi. In primo luogo se i due giovani siano imputabili dal momento che entrambi non hanno raggiunto la maggiore età. A questo proposito le perizie psichiatriche e psicologiche, di cui la stampa ha dato le conclusioni e le osservazioni più rilevanti, sembrano mettere in luce che entrambi, pur presentando un disturbo della personalità, erano in grado di intendere e di volere al momento del delitto e pertanto sono imputabili. Se queste sono le conclusioni delle perizie di ufficio richieste dai Giudici, i periti chiamati dalle famiglie cercheranno probabilmente di ribaltare queste conclusioni, mettendo in luce l'esistenza di deficit ed alterazioni che avrebbero interferito con le capacità mentali. Come ci si ricorderà per questo motivo qualche mese fa un ragazzo di Sesto San Giovanni, che aveva ucciso la propria ragazza, non è stato ritenuto punibile ed è stato avviato ad un programma riabilitativo.

Indubbiamente il problema della imputabilità prima dei 18 anni è un nodo complesso, sollevato recentemente anche dal Ministro Castelli . Ma non solo in Italia si dibatte questo problema, proprio perché il fenomeno della delinquenza fra gli adolescenti sta dilagando ed obbliga il mondo giudiziario a trovare risposte nuove per contenere i comportamenti violenti dei giovani. Negli Stati Uniti, ad esempio, si è verificato negli ultimi anni un cambiamento sostanziale delle procedure giudiziarie, per cui circa 200 mila adolescenti sotto i 18 anni sono stati giudicati dai Tribunali Penali ordinari, mettendo in discussione la prassi consolidata degli ultimi 100 anni di utilizzare speciali Tribunali per i minorenni. Ma ci si può chiedere se questa nuova prassi sia la conseguenza del bisogno della società di difendersi dalla delinquenza giovanile oppure sia piuttosto il riflesso di nuovi orientamenti scientifici nel campo della psicologia dell'adolescenza.

Sono stati pubblicati recentemente negli USA vari contributi scientifici in questo campo (ad esempio Steinberg e Cauffman: Adolescents as Adults in Court: a developmental perspective on the transfer of Juveniles to Criminal Court, 2001; Grisso e Schwartz: Youth on Trial: a developmental perspective on Juvenile Justice, 2000) ed è ancora attuale la domanda se gli adolescenti per la loro immaturità evolutiva siano meno responsabili degli adulti e pertanto meritino pene ridotte o diverse rispetto agli adulti.
Non è facile rispondere in modo soddisfacente a questa domanda anche perché la transizione dall'adolescenza all'età adulta non avviene ad un'età definita ed ogni adolescente matura in tempi e gradi diversi ed inoltre le capacità psichiche non si sviluppano in modo omogeneo.
Anche in Italia fino ad ora si è proceduto fondamentalmente allo stesso modo e il Tribunale dei Minorenni si è posto l'obiettivo di valutare le capacità di intendere e di volere dell'adolescente accusato di atti antisociali, anche se è spesso difficile tradurre questo concetto giuridico in specifiche, ben definibili e misurabili acquisizioni psicologiche.
Valutare ad esempio se un ragazzo di 16 anni sia in grado di prevedere le conseguenze del proprio comportamento e pertanto sia responsabile o meno, è un quesito rilevante per stabilire se debba essere condannato come un adulto o si debbano prevedere altre misure punitive oppure terapeutiche.

L'orientamento scientifico prevalente è stato per molto tempo quello di ritenere che le capacità cognitive degli adolescenti, ossia l'intelligenza, non differissero sostanzialmente da quelle degli adulti e pertanto i comportamenti antisociali venivano attribuiti ai differenti valori e priorità degli adolescenti. Tuttavia, come è evidente, questa posizione non teneva conto del fatto che le decisioni di un adolescente non rispondono tanto a scelte razionali quanto piuttosto alle influenze delle emozioni e dei rapporti sociali.
L'ottica della ricerca si è inevitabilmente spostata nell'area delle capacità sociocognitive, che riguardano non solo l'intelligenza ma anche le capacità emozionali ed interpersonali, rilevanti per essere pienamente responsabili delle proprie azioni. Si tratterebbe di capacità psicosociali come ad esempio saper controllare i propri impulsi oppure non farsi influenzare dalla pressione dei compagni a violare la legge oppure sapersi districare in una situazione problematica. Alcune ricerche recenti parlano di specifiche capacità come ad esempio la responsabilità nel prendere decisioni in modo indipendente e con adeguata fiducia in sé, la prospettiva temporale nell'assumere le proprie decisioni e infine la capacità di autoregolarsi (temperance), esercitando un controllo sui propri impulsi. Con ogni probabilità a 12 anni queste capacità non si sono ancora adeguatamente sviluppate, mentre a 16 anni la maggior parte degli adolescenti le ha raggiunte.

E' evidente che la tesi dell'immaturità psicosociale degli adolescenti, se confrontati con gli adulti, ritorna di nuovo in primo piano riconducendo il problema all'organizzazione della personalità in questa fase di transizione.
In nessun altro periodo della vita si è così permeabili e suggestionabili alle pressioni degli amici e del gruppo dei coetanei, caratteristica questa ampiamente studiata dagli psicoanalisti che parlano di spazio psichico allargato. Non solo si vive dentro di sé ma ci si identifica fortemente cogli altri, con i quali addirittura ci si confonde, come dimostrano i comportamenti del branco dei ragazzi oppure la relazione complice fra Erika ed Omar i cui i confini individuali erano quasi annullati.

Sollevare la complessità del mondo psichico degli adolescenti e le immaturità in campo psicosociale non vuol significare che non debbano essere considerati responsabili dei propri comportamenti e non debbano rispondere alla giustizia.

Comprenderne le dinamiche psichiche, le caratteristiche emotive e relazionali serve piuttosto a trovare strade nuove che non siano il carcere che sarebbe deleterio perché indirizzerebbe definitivamente il giovane verso una carriera antisociale oppure il perdono giudiziario che verrebbe a sancire una sorta di immunità dei minorenni.

La sfida in questo campo, in parte realizzata in alcuni paesi stranieri, è quella di sviluppare le possibilità terapeutiche e trasformative a favore dei giovani che delinquono imponendo tuttavia le necessarie restrizioni in modo da favorire un processo di assunzione di responsabilità e di colpevolezza, unica strada per consentire loro di sentirsi parte della comunità sociale.