Su questo argomento non posso dire nulla, perché nella mia esperienza in Istituto io non vengo mai a contatto con la famiglia delle vittime; ciò che queste famiglie pensano, quello che chiedono alla Giustizia io lo apprendo, come tutti quanti, dai giornali o da altri mezzi di comunicazione di massa.
E' difficile che qualcuno si metta in contatto con l'istituto penale dove l'autore del reato si trova per chiedere, parlare, o dirci qualche cosa; noi abbiamo contatti solo con la famiglia del reo, anche se sicuramente è molto importante che si dia voce alla famiglia della vittima. In questo senso è già iniziata una sperimentazione, su reati minori, che è quella della mediazione penale, che serve proprio per ricostruire un dialogo tra l'autore del reato e la vittima, mettendo tra loro un ponte, che è quello degli esperti, per far sì che la vittima abbia anche la possibilità della parola, giacché la vittima è sempre dimenticata.
Per quanto riguarda invece l'opinione pubblica, su quello posso dire qualcosa. L'opinione pubblica si fa sentire anche all'interno delle mura dell'istituto penale attraverso lettere, i giornalisti che ci assediano, attraverso tutta una serie di pressioni che ci sollecitano ad essere severi, a punire. Quindi non ha nessuna importanza che si parli di raptus, che si parli di malattia mentale, che si sia consapevoli che il reato è stato commesso nella chiara incapacità di intendere e di volere. Era questo che mi veniva in mente, mentre sentivo parlare gli altri relatori.
Bisogna, credo, fare attenzione alla differenza fra Diritto, dove è previsto il concetto di capacità di intendere e di volere, di imputabilità, e l'opinione pubblica, che è tutta un'altra cosa. Allora: per l'opinione pubblica non esiste assolutamente mai, a meno che uno non abbia veramente la bava alla bocca non esiste una discriminante psichica. Cioè: chi ha commesso un delitto grave è colpevole, e va punito. Punto. Il resto è una questione del Diritto. E su queste idee, su questi principi che fondano il Diritto Penale: ognuno ritiene di sapere, esattamente come gli esperti, e di poter dire la propria così come non penserebbe mai fare su qualsiasi altra cosa.
Mi spiego: se si deve costruire un ponte è difficile che qualcuno che passa dica all'ingegnere: "Guarda che tu questo ponte lo devi costruire in questo modo perché io, per mia vecchia esperienza o perché ho delle mie idee, so più di te come va costruito il ponte". Per quanto riguarda il Diritto Penale, invece, proprio perché sollecita temi importanti, i temi della coscienza, della responsabilità, ciascuno di noi si ritiene alla pari del magistrato nel momento in cui si deve emettere un giudizio, una sentenza, e questo fa sì che automaticamente, per ogni reato, venga chiesta una punizione esemplare, come unico sistema per evitare che il reato venga reiterato da qualcun altro. Questo è quello che arriva all'interno dell'Istituto.
Io lavoro nelle carceri da ormai 27, 28 anni
in tutto. Per tornare al tema del raptus, in tutto questo tempo, devo dire che solo in due occasioni credo di aver incontrato una persona che ha commesso un reato in questo momento di coscienza alterata, di black out.
Uno è stato una persona che - adulto, ma giovane adulto - ha ucciso l'ex fidanzata e che nel momento in cui si è reso conto di ciò che aveva fatto ha tentato di suicidarsi; quindi diciamo un caso "classico"; e, in campo minorile mi è successo di incontrare un ragazzo qualche anno fa, ha preso un coltello da cucina, è andato in una casa e ha accoltellato due persone; non aveva niente da chiedere a queste due persone, niente da recriminare, nei confronti di queste due persone; le accoltellate, una delle due è morta. In 28 anni solo due casi di raptus, nel senso più classico.
Per gli adolescenti, per i ragazzi autori di reato ci si interroga sempre sulla loro capacità di intendere e di volere. E' una domanda che ci si fa, ma che non viene molto condivisa dall'opinione pubblica. In questa nostra società, così avanzata, dove le notizie circolano e tutto è disponibile per la conoscenza, si ritiene che gli adolescenti, siano a 14 anni - addirittura c'è chi vuole a 12 - capaci di capire la realtà che gli è attorno, capire il disvalore sociale e penale degli atti che commettono, volerne fino in fondo le conseguenze...
Ma è mai possibile che da questi ragazzi ci si aspetti una capacità di autoregolarsi, una capacità di controllo degli impulsi, una capacità di lettura della realtà che non richiediamo a noi stessi adulti?
Credo che non si rifletta abbastanza sul fatto che 16 anni, e le esperienze della vita che si fanno in questo brevissimo arco di tempo, non necessariamente portano alla capacità di intendere e di volere, che si presume, invece, venga posseduta automaticamente con i 16 anni.
Allora, queste sono le istanze che da fuori arrivano al Beccaria, così come l'altra voce forte che arriva è che "lo Stato è buono" quando decide che un ragazzo non è capace di intendere e di volere, "è buono, lo perdona". Insomma questi sono concetti che allo Stato non sono assolutamente applicabili.
Lo Stato non è una persona: solo una persona può essere buona o cattiva, solo una persona può perdonare. Lo Stato si è dato un suo sistema di leggi, che garantiscono la vita civile e a queste si attiene. Non è immaginabile che debba essere cattivo o come il padre severo. Ma questo ci viene richiesto: la punizione per la punizione.Allora: questi ragazzi sono capaci di intendere e di volere?
Sì, sì, per quella che è la concezione normale, capiscono perfettamente che stanno commettendo qualcosa di grave e vogliono questa cosa.
Allora perché poi non sono punibili come gli adulti?
Perché manca tutta una parte della coscienza, e che gli adulti hanno, della capacità che è stata un po' citata dal professor Stella, la consapevolezza delle cose, la consapevolezza del sé, la riflessione sul sé e sul rapporto con gli altri: queste cose, agli adolescenti di oggi, quelli che arrivano alla nostra attenzione, manca.
Dico che arrivano alla nostra attenzione perché poi ci sono migliaia e migliaia di adolescenti che non commettono reati, non ammazzano nessuno e dei quali naturalmente non si parla perché è normale che non se ne parli quindi questi ragazzi hanno la consapevolezza di dover soddisfare le loro pulsioni nell'immediato. Non hanno la coscienza dell'altro, e nel momento in cui non hanno la coscienza dell'altro, l'altro non esiste; quindi ciò che prevale è quello che in quel momento è l'impulso o il desiderio da soddisfare immediatamente.
Io penso che è vero che non si può criminalizzare la famiglia perché nessuno ha il libretto di istruzioni quando nasce un bambino, ma ho l'impressione che ogni volta che si dice: "beh, forse sarebbe opportuno che cominciassimo a guardare che cosa bisogna fare perché non accadano tanti fatti" (l'omicidio è il fatto più eclatante ma ce ne sono tantissimi altri ), vien fuori quasi automaticamente una difesa del proprio ruolo
Ma io dico: la famiglia non dev'essere toccata perché la famiglia fa quello che può; la scuola dice che fa quello che può; la società non può ritenersi chiamata in causa perché comunque ognuno fa quello che gli spetta e quindi spettacoli, piuttosto che fumetti, e tante altre cose
nessuno è responsabile di questa mancata acquisizione della coscienza. Però qualcuno sarà pure responsabile
non credo che siano solo i ragazzi di 14 anni responsabili di questa cosa; invece mi pare che l'opinione pubblica, per quello che arriva a noi, è che gli unici responsabili di questa mancanza di coscienza siano solo i ragazzi