L'articolo è stato pubblicato sul Corriere del 21-10-1992, in occasione dell'autoaccusa di Stefano Spilotros, dichiaratosi responsabile dell'omicidio di Simone Allegretti e risultato poi del tutto estraneo ai fatti.
Il vero omicida era stato poi identificato in Luigi Chiatti che, a breve distanza, avrebbe poi ucciso anche Lorenzo Paolucci.

Chi ha ucciso Simone

homo sum, humani nihil a me alienum puto!

Proporre al di fuori del carcere
ciò che il lavoro in carcere insegna
è un modo per ricordare
i frammenti di umanità che dell'omicida ci appartengono

 

Angelo Aparo
Francesco Scopelliti

Stiamo seguendo gli sviluppi dell'omicidio di Foligno con particolare attenzione sia perché operiamo come psicologi nell'ambito penitenziario, sia perché anche stavolta, come altre di fronte a episodi di questo genere, è possibile constatare come la ricerca del "mostro" possa pericolosamente assumere contorni da caccia agli untori.
Molti degli ultimi titoli sembrano infatti suggerire che si stiano affannosamente cercando le fattezze e la provenienza del "mostro" per identificarlo in un oggetto alieno ed espellerlo per sempre.

E' pur vero che molti film di successo seguono questa traccia! La loro fortuna dimostra che il meccanismo difensivo dell'espulsione ci appartiene e assolve per tutti noi una funzione alla quale è difficile rinunciare. Tuttavia un episodio come questo, proprio per il dolore che comporta, merita il tentativo di prendere confidenza con certe angosciose fantasie dalle quali bramiamo liberarci, anche perché questa è una delle poche strade che abbiamo per convivere con le nostre paure senza rimanerne sopraffatti.

Al momento non si sa ancora se il bambino di Foligno sia stato realmente ucciso dal giovane Spilotros. Dalle dichiarazioni rese pubbliche di quest'ultimo è però possibile ricostruire che nella triste vicenda è coinvolta almeno una figura che nelle fantasie e nella storia del soggetto ha un ruolo di primo piano.
Il comportamento e le dichiarazioni del giovane suggeriscono che nel suo spazio psichico trovi posto un personaggio interno verso cui egli prova sia l'impulso di accusarlo che quello di salvarlo:


Il giovane è quindi agitato da due spinte contrastanti, ma ugualmente intense verso una figura che, nel suo mondo psichico, corrisponde a quella di un genitore che non lo amava o che è stato forse del tutto assente, e per questo motivo, odiato e tuttavia supplicato mille volte di modificare il proprio comportamento fino a renderlo amorevole verso il figlio.

Noi non sappiamo, al momento, quali legami abbia questa figura interna arcaica del giovane con i personaggi della sua vita attuale. Sappiamo però con certezza che essa si è macchiata nei suoi confronti di colpe molto gravi: lo ha ferito in maniera straziante, forse avendolo picchiato o punito senza amore, forse avendolo trascurato, facendolo sentire così solo e abbandonato.
Oggi la persona fisica che interpreta il personaggio interno dello Spilotros può essere un amico o un familiare con cui egli ha un rapporto conflittuale, forse solo un conoscente del giovane o addirittura un personaggio pubblico che per qualche strano percorso associativo si presta bene a riassumere il rapporto conflittuale che il ragazzo ha con questa sua parte interna.

D'altra parte, chiunque abbia ucciso Simone, è stato qualcuno che ha sofferto violenze e/o abbandoni, tanto da non saperli affrontare in altro modo che ripetendo ennesime volte la rappresentazione del dolore subito e la speranza di porvi riparo.

Queste ripetizioni possono essere e, per fortuna, sono di solito meno cruente e irreparabili di quanto sia accaduto in questo caso. Stefano Spilotros, nel macchiarsi o anche soltanto nell'accusarsi del triste delitto, è caduto invece in una delle più drammatiche di queste ripetizioni. A volte - e sembrerebbe così anche in questo caso - l'impulso alla ripetizione può scattare in conseguenza di un dolore attuale particolarmente intenso che ha riaperto le vecchie ferite, ad es. la separazione da una persona cara.

Qualunque sia il suo ruolo effettivo nella vicenda reale, è certo che egli ha individuato nel piccolo Simone una figura grazie alla quale ha potuto mettere in scena una vicenda che è dolorosamente segnata in un qualche capitolo importante della sua storia affettiva.

Agli occhi del desolato Spilotros e certamente agli occhi di chi lo avrebbe poi effettivamente ucciso, Il piccolo Simone, almeno nella prima parte del tragico incontro, ha avuto il compito di interpretare il bambino che l'assassino era stato negli anni in cui si sentiva solo e per nulla amato.

L'assassino, come una parte di Stefano Spilotros, ha vissuto paradossalmente il desiderio di accostarsi a un bambino per amarlo e fargli avere quello che a lui, nella sua storia, era mancato.
Allo stesso tempo, egli chiedeva a Simone di perdonare all'adulto che lo stava seducendo le colpe di cui questi si era macchiato facendo soffrire il bambino che egli - l'assassino - era stato.

Il piccolo Simone non ha potuto capire né che un bambino gli chiedeva di sostituirsi a lui per tentare, magari con profferte sessuali, di amarlo come un adulto e fargli avere quello che a lui era mancato; né che un adulto chiedeva perdono a un giudice di quattro anni per il male che altri adulti avevano procurato a lui da bambino.


Simone ha protestato, ha pianto, ha manifestato paura così che in breve il delirante progetto è naufragato, lasciando che l'assassino venisse invaso dal panico.
Uccidere il bambino è stato probabilmente un modo per uscire da un delirio che si era spinto troppo in là senza conseguire il fine per cui era nato.

Con il concorso o meno della violenza che viene ritualizzata da chi la agisce e riciclata da rotocalchi ululanti come sciacalli, viviamo un pò tutti, chi più chi meno, fantasie inquietanti. Solo pochi le agiscono perdendo completamente la misura del loro rapporto col reale, ma giova a tutti essere consapevoli di averle, proprio allo scopo di non lasciarsene ciecamente guidare nel giudizio e nelle scelte.