Perché il male? |
Massimo Cacciari | Enciclopedia scienze filosofiche |
Il tema della libertà e il tema del male formano un tutt'uno. Quale è stata la risposta dominante, nella grande tradizione filosofica-teologica, a questo tema che inquieta ciascuno di noi appena ci arrestiamo a pensare - e questo è il lavoro della filosofia: arrestare e far pensare? Qual è stata la risposta dominante nella nostra tradizione filosofica e teologica a questo grande problema, comune a tutti? Forse è stata quella impostata da Platone all'origine della nostra riflessione. Dice Platone - e la sua risposta diventa canonica -: "del male, del nostro far male, il Dio non può essere ritenuto causa. Dio è bene, Dio è immutabile, è semplice, è veritiero, ed è causa di tutti i beni: thèos anaìtios, Dio è innocente".
Tutta la riflessione teologica successiva si fonda su questo presupposto platonico: Dio deve essere ritenuto innocente dei mali del mondo, del nostro far male. Quindi noi facciamo del male per nostra scelta, per nostra libertà. Noi non siamo determinati dal Divino ad agire male; le nostre imperfezioni, le nostre miserie, sono frutto e prodotto della nostra libertà.
Ma qui nascono grandiose aporie e nuovi problemi in cui si imbatte la cultura classica e tutta la cultura teologica, non solo cristiana ma anche islamica e giudaica. Come possiamo tener ferma la concezione da cui siamo partiti, del thèos anaìtios, del Dio innocente che non è causa del male, se la caduta dell'anima è male, e se questa caduta dell'anima è necessaria?
Ecco la grande aporia in cui si imbatte la tradizione filosofica tardo-antica nonché la tradizione filosofica-teologica cristiano-europea. La grande domanda che martella non soltanto il filosofo, e tantomeno soltanto la professione della filosofia, ma anche la grande letteratura europea: basti pensare al nostro Leopardi, a Dostoevskij. Se l'anima cade necessariamente in questa valle di lacrime; come può essere considerata colpevole? Come possiamo non pensare che vi sia un male in Dio, se l'anima cade non per sua colpa, se questa caduta è necessaria?
Qual è la risposta cristiana? Partiamo dalla risposta teologica. Una risposta inquieta, assillante: bisognerebbe lavorare sui testi per dare davvero l'impressione di quanto queste risposte, che spesso sono presentate in termini quasi canonici, scolastici, sistematici, siano in realtà drammatiche per i grandi autori che le interpretano. La risposta canonica nella cristianità è quella agostiniana: Dio non è autore del male, ma ne è origine. In che senso? Nel senso che Dio, per conseguire un bene maggiore - la nostra libertà - non poteva che farci capaci di peccato, di male. Quindi Dio è origine del male perché ci fa capaci di peccato; ma Dio non fa il nostro peccato, non è l'autore del nostro peccato. Solo noi facciamo il male, solo noi siamo gli autori del male; i peccati sono solo nostri, e bestemmia chi li attribuisce a Dio.
Ma allora, se io faccio il bene, è perché Dio mi ha eletto, perché Egli ha costruito la mia anima in modo tale che possa fare il bene; e altrettanto vale se sono un peccatore, cioè se la mia natura è tale che mi costringe a peccare. Si fa avanti l'idea della forza predestinante. Per Lutero ciò segna il crollo di ogni possibile teodicea, di ogni possibile giustificazione di Dio; di ogni possibile discorso - nato con Platone - che fa di Dio un innocente. Ogni teodicea risulta impossibile dato che Dio ci predestìna in base a un imperscrutabile disegno: alcune nature sono fatte per peccare, altre nature sono fatte per essere salvate comunque, che pecchino o non pecchino; sono predestinate alla salvezza.
Ma a questo punto Dio non può più essere in alcun modo detto innocente; è un Dio predestinante. Ogni discorso volto a giustificare Dio per il male del mondo è condannato all'insensatezza, proprio perché Dio non può più essere ritenuto innocente, come in Platone e - tutto sommato - in Agostino. Con la concezione del Dio predestinante, invece, Dio è proprio autore della mia anima, che è un'anima destinata a peccare.
Tratto dall'intervista "Il libero arbitrio" - Napoli, Vivarium, giovedì 8 aprile 1993