L'ultima giornata con gli studenti di Carate

Livia Nascimben

29-05-2004  

Il ricordo più bello è il sorriso di Fabio al sole: bersaglio centrato!
Vitale il suo dire di non rendersi ancora conto di essere uscito dal carcere, di avere paura del suo futuro e poi la sua contentezza, l'essere sul punto di piangere di fronte alle nostre parole di affetto e stima. E poi la voce incerta mentre leggeva il suo scritto.

E Dino vestito elegante, col microfono in mano, nell'auditorium di una scuola; sembrava sicuro e proprietario del gruppo ma anche fragile, umano, meno duro e "prepotente" di come a volte lo vivo in carcere; e poi è stato bello dargli le indicazioni per la scuola e metterci d'accordo per una pizza.

Del convegno ricordo alcuni interventi; Fabio, la lettura di Antonella, il cestino di Cusani, l'intervento introduttivo al quadro di Rembrandt della Tirelli, la voce di Cosimo, un ragazzo che ha dato la sua interpretazione del quadro, l'intervento all'inizio dell'Alfieri e quello della preside.

In generale, di stimoli ne abbiamo dati parecchi, alcuni sono stati colti, altri forse germoglieranno nelle menti fertili. Mi è sembrato che l'incontro sia andato bene, le tappe del percorso fra gli scritti che avevamo predisposto le abbiamo seguite. Però la partecipazione e l'interazione, oggi e in questo anno, mi è sembrata di un livello inferiore di quanto sarebbe stato auspicabile.

All'inizio mi aveva sorpreso che ci fosse poca gente, immaginavo più genitori, più scambio fra genitori e figli, più scambio coi docenti; la classe che c'era nel nostro settore, la prima mi pare, la sentivo per i fatti suoi, le altre due più attente. Alcuni studenti si sono divertiti e i "contestatori" di fatto hanno partecipato con interesse e con loro c'è stato un dialogo.

Il proiettore è uno strumento importante; leggere gli scritti senza che la platea li avesse sotto mano sarebbe stato più dispersivo e immagino che il brusio di fondo sarebbe stato maggiore.

Da una parte ho l'impressione che abbiamo "catturato" poco, che non si sia troppo capito il senso di quello che facciamo e ciò che si può ricavare dal nostro lavoro; d'altra parte, non è nemmeno facile mettersi nella nostra ottica, se non provando a lavorare assieme. Mi sembra che sia mancato proprio questo lavorare assieme, anche se da studenti mettersi troppo in gioco non è proprio il massimo delle aspirazioni; forse c'è più l'idea che siano gli altri a individuare la direzione e che il fare sia un obbligo più che un guadagno; comunque, se penso a come mi comportavo ai tempi del liceo, questa attività la vedo seguita in modo positivo.

Di certo dobbiamo capire come migliorare.
Forse quello che portiamo è più adatto per un'altra platea, forse è un corso troppo difficile, poco maneggiabile dai ragazzi delle superiori, per il modo di procedere, per lo studio che ci sta dietro, per la disponibilità a problematizzarsi che richiede, per le domande che lascia aperte.


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