Incontri con le scuole |
Insegnante: La detenzione, con la restrizione della libertà, aiuta a riflettere?
Vito: La situazione che ti trovi a vivere ti impone di riflettere ma serve un ambiente utile affinché le riflessioni possano essere praticate, messe in atto. Una persona da sola non ce la fa ad abbandonare la vecchia strada, occorre qualcosa che ti faccia sentire interesse per altro. In carcere sei chiuso e rifletti, devi riflettere su qualcosa, ma finché la riflessione si limita a vivere dentro di noi non può prendere forma, concretezza. Il 70% dei detenuti sono recidivi perché non fanno il lavoro di allargare lo spazio mentale e aumentare i propri orizzonti.
Studente: Cos’è la comunicazione tra esterno e interno?
Vito: Come gruppo, sono anni che facciamo incontri con le scuole. Io ottengo anche permessi per andare nelle scuole quando gli incontri sono esterni e non in carcere come oggi.
Il rapporto tra detenuti e società esterna è uno dei punti centrali del nostro lavoro… siamo diversi ma abbiamo delle cose in comune. La mia rabbia la sfogavo con le rapine, ma tutti abbiamo rabbia e su questo possiamo comunicare e cercare le motivazioni dei nostri atti. Io ho commesso reati perché non riconoscevo gli altri, con questo lavoro ci riconosciamo.
Per anni ho pensato di aver fatto poco male perché, rapinando le banche, non procuravo danni fisici alle persone. Oggi capisco che la violenza che ho fatto consiste nel costringere le persone a fare qualcosa contro la loro volontà, nel mettere le persone nella condizione di non potere reagire. Di solito, i detenuti disapprovano i reati contro i bambini, ma io stesso con la minaccia ho ridotto le persone che rapinavo nella condizione di bambini indifesi.
Oggi ho imparato a riconoscere questo. E’ difficile, anche da accettare. Molti scappano dal gruppo per questo. Al gruppo siamo pochi detenuti in confronto alla popolazione detenuta, tanti hanno paura a mettere sul tavolo i propri sentimenti. Io inizialmente al gruppo non volevo partecipare, poi ho provato, ho capito che ci sarebbe stato da lavorare, ho capito che mi sarebbe servito e mi sono buttato.
Vito: Una delle cose che mi dicevo per acquietare la coscienza era che rapinavo per dare i soldi alle mie figlie da mettere via per il loro futuro e per comprarsi le Nike. Sentivo di non potere fare niente di meglio, prima di spendere i soldi delle rapine per me pensavo a loro.
Adesso mi rendo conto che non ho mai pensato di chiedere loro se avessero preferito i soldi o la mia presenza. La mia presenza era un valore che non consideravo. Farle stare bene con i soldi mi ha impedito di chiedere alle mie figlie cosa desideravano.
Averle private di me è stato il più grosso tradimento. Ho tradito le loro aspettative; non era questo ciò che si aspettavano da me. Potrà essere riparato però intanto c’è stato. Oggi col lavoro che ho fatto al gruppo potrò in futuro fare bene, ma 7 anni ormai sono andati.
Da qui dentro si scrivono lettere d’amore ai familiari, poi si esce e di nuovo li lasci soli.
Di solito, chi sta in carcere disprezza coloro che tradiscono, ma pensandoci, riconosco che io ho tradito le persone che amo e che più mi amano. Un tempo mascheravo il tradimento chiamandolo egoismo, mi dicevo che pensavo prima a me stesso e poi agli altri, ma era tradimento delle aspettative, tradimento del mio ruolo, tradimento loro, tradimento di me stesso. Fino a che dici che tradisci te stesso puoi mettere attorno la lana per non sentire, ma quando capisci che hai tradito i tuoi figli è dura da accettare.
Studente: Come vivete questa attività?
Vito: Al gruppo si costruisce se stessi e il rapporto con la società, ma non tutti sono disposti a distruggere le barriere che hai dentro e ad entrare in contatto con la società che chiede di cambiare idee sul mondo e su se stessi. Ma se sei disposto a tentare e poi vedi che guadagni, allora continui e ti accorgi che il tuo spazio di costruzione aumenta.
Studente: Su quali aspetti lavorate?
Vito: Ad esempio riflettiamo sul divenire delle scelte. Io non ho deciso un giorno di andare a fare le rapine, ho scelto nel tempo. Riflettere sugli atti che sono diventati più grandi del rubare le patatine non serve a giustificarsi ma serve a migliorare il rapporto con voi studenti che siete la società e serve per cercare uno spazio per la relazione che preserva dal commettere reati.
Secondo: Al gruppo abbiamo parlato di tradimento facendo riferimento al tradimento del padre verso il figlio. Ma il figlio non tradisce mai suo padre?
Vito: Da adolescente sapevo che mio padre si aspettava da me qualcosa, ma più cercavo di fare quel qualcosa più mi ritrovavo a fare il contrario. Oggi sono iscritto all’università, se mi laureo sarà perché lo desidero e non perché lo vuole mio padre. Quando parlavo con mio padre sentivo che lui disprezzava quello che facevo, come se non valesse niente. Io cercavo il “bravo” da lui ma mi comportavo al contrario.
Studente: Cosa pesa di più della carcerazione?
Vito: Qui in carcere ti senti come di avere paura di mostrare i sentimenti. Paradossalmente il carcere ti rapina degli affetti. E’ questo ciò che è duro nel carcere.
Studente: Qual è lo stimolo che vi fa andare avanti la mattina quando vi svegliate?
Vito: Non mi pongo più la domanda di come fare ad andare avanti, vivo la vita, cerco di sfruttare al massimo le cose positive che ho a disposizione. Prima pensavo di essere un uomo con la pistola in mano; oggi che sono rinchiuso mi sento più uomo a parlare con voi.