Il canto delle sirene
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Giovanni Mentasti | 11-04-2005 |
Le sirene sono delle illusioni. Cantano ad Ulisse:
“Noi conosciam, ma non avvien su tutta
La delle vite serbatrice terra
Nulla, che ignoto o scuro a noi rimanga".
Con il “ma” le sirene sembrano quasi suggerire: “noi cerchiamo di conoscere proprio come te, Ulisse, ma nulla ci è ignoto se lo vogliamo, possiamo conoscere tutto”. Allettano l’eroe con l’illusione di poter conoscere tutto, di poter mangiare la mela dell’Eden.
Ulisse vuole vivere per seguire virtù e conoscenza (Dante). Vuole superare le colonne d’Ercole della conoscenza a lui contemporanea, esplorare i margini delle mappe, e sfidare questo limite alle direzioni che la sua barca può prendere. E le sirene gli propongono proprio ciò.
Il canto delle sirene è personale, le illusioni parlano ad ognuno col suo proprio linguaggio e dei suoi propri desideri. Il canto viene ed è alimentato dalla fantasia, dall’immaginazione, dalla fantasticheria, dal narcisismo, dall’amore più o meno esclusivo per sé, la grandiosità, l’ambizione.
Le sirene nella mente di Ulisse prendono la forma del suo sogno impossibile, del poter diventare non solo chi conosce, ma chi conosce tutto, a cui nulla rimane ignoto. Rappresentano l’assenza della percezione del limite; l’arroganza o la spregiudicatezza, che sfiora la mente di Ulisse che nel suo viaggio dimostra di conoscere bene e saper sfruttare proprio i suoi limiti.
O forse le sirene si vendicano perché rinchiuse sulla loro isola mortale, a cui nessuno si può avvicinare senza morire risucchiato contro gli scogli; l’unica influenza che possono avere sul mondo sono le loro voci che nascondono la loro forma di mostri marini…. con cui si vendicano di chi può anche scegliere di non bruciare tutto fino all’ultima scheggia.
Le mie sirene mi prendono e mi rapiscono quando sogno ad occhi aperti, quando sono da solo.
Dipingono intorno a me, su grandi teli bianchi, scenari e paesaggi meravigliosi; ed è piacevole e comodo poterli ammirare e vivere senza la fatica di doverci andare a piedi.
Di volta in volta vedo una montagna, un obiettivo che voglio raggiungere, ciò che voglio fare o diventare, un possibile futuro.
Ma questi teli sono leggeri e volano via quasi subito, se si guarda con attenzione, li si vede appesi precariamente, e si intravede che dietro ci sono le solite quattro mura e i paesi, le città.
Mi lasciano senza nemmeno una mappa per muovermi verso quelle immagini, senza precise indicazioni per raggiungerle.
Tutto ciò che mi resta è nelle orecchie è la direzione del canto delle sirene, come un invito seducente e contraddittorio a farvi ritorno.
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Note:
Il Faust è l'opera più famosa di Goethe ed era anche l'opera della sua vita: dai primi frammenti al termine della seconda parte dell'opera passarono 60 anni, in cui si susseguono varie versioni, anni di febbrile lavoro e decenni di interruzioni, in cui Goethe ha altri progetti. Faust è uno scienziato, insoddisfatto dei limiti del sapere umano che, ormai vecchio, viene tentato dal demonio Mefistofele. Gli vende la propria anima in cambio di giovinezza, sapienza e potere. Ora Faust, onnipotente, può disporre delle sorti altrui: porta alla follia e alla morte una povera fanciulla, Margherita; poi inizia a esercitare la sua diabolica influenza presso le corti principesche del gran mondo. E benché tutto sembri congiurare contro la salvezza dell'anima di Faust, la pietà divina riconosce il desiderio di bene che è stato all'origine di tanto peccare: la stessa Margherita intercede per Faust, simbolo ormai dell'umanità stessa e del suo cammino verso la redenzione. Goethe non vede in Faust il grande peccatore come lo voleva la tradizione popolare, per lui la volontà di Faust di sapere, di andare oltre è positiva e così alla fine Dio salva l'anima di Faust. Il Faust di Goethe rappresenta l'umanità, la sua insofferenza dei limiti della coscienza e il tentativo di superarli è per Goethe "il più nobile delle aspirazioni dell'uomo".