Istruzioni di disconoscimento |
Bruno Turci | 08-05-2009 |
Pur essendomi interrogato molte volte in passato su come io sia potuto riuscire a… "rovinare la mia vita e quella degli altri…” in maniera così sistematica, eppure… “quasi senza accorgermene”, prima di entrare al gruppo della trasgressione, non avevo mai fatto caso a quel demone che avevo dentro e che, al tavolo delle nostre discussioni, qualcuno ha chiamato "Pensiero Vigliacco", giacché si nasconde mentre agisce.
Ho cominciato a pensarci in maniera tanto più seria quanto più le nostre riflessioni riguardavano il rapporto con l’altro. Ho cominciato a prendere confidenza con l’idea che la vita… l’avevo rovinata, sì a me stesso, ma prima ancora a qualcun altro che non me lo aveva chiesto. D'altronde, se anche avessi voluto rovinarla solo a me stesso, avrei comunque finito per coinvolgere anche altri, quanto meno le persone che hanno con me una relazione intima.
Credo sia opportuno perciò correggere il pensiero su cui m'interrogavo, applicando nelle giuste proporzioni il diritto di precedenza ai soggetti coinvolti, così come suggerisce il sottotitolo del nostro prossimo convegno: come rovinare la vita 1° degli altri e 2° la propria, a poco a poco e quasi senza rendermene conto.
Credo che il pensiero vigliacco agisca in maniera più o meno forte in ogni essere umano, nel senso che ognuno ha un potenziale per fare danni. Fortunatamente la maggior parte delle persone riesce a evitarlo. Ma come mai alcuni, invece, non riescono?
La forza di questo demone che agisce nella nostra mente consiste nella sua abilità di agire di nascosto, togliendo energia a quel lumicino che ci illumina i pensieri, soprattutto quelli che riguardano la coscienza delle nostre azioni. In questo modo riesce a non farsi identificare eliminando qualsiasi altra autorità che lo contrasti. Rimane solo lui come unico ente di riferimento…
È la maniera più efficace per nascondersi: eliminare la coscienza di un pensiero differente, annientare ogni contraddittorio che dia origine al dubbio, ogni perplessità che ci permetta la scoperta di altre spinte e motivazioni.
Tutto questo non è per dire che ci si possa assolvere da qualcosa o attenuare le nostre responsabilità: io resto comunque responsabile delle mie azioni al di là di ogni scoperta postuma di questo tipo. Per quanto mi riguarda, la maniera migliore di rendere giustizia alla fatica di questa scoperta consiste nell’impegno di trasmettere ai giovani la consapevolezza di questo pericolo a cui siamo tutti esposti, affinché riconoscano gli strumenti con cui difendersi, soprattutto da se stessi. Questo è, a mio giudizio, un buon modo per restituire qualcosa di quello che abbiamo tolto.