Quel 10 ottobre |
Michael M. C. | 16-04-2011 |
Ormai sono passati sei mesi da quando sono entrato in carcere. Devo dire che purtroppo mi sto abituando.
Sono nato in una zona pericolosa di Milano, Corvetto. Una zona dove si dice che, se si viene da una famiglia benestante può anche andar bene, ma se così non è, si rischia di finire in brutti giri o compagnie pericolose.
Finite le scuole medie, dovevo capire cosa fare della mia vita, quale lavoro mi sarebbe piaciuto fare, e invece ho iniziato a vivere per strada (con brutte compagnie pericolose). Dopo il servizio militare, per fortuna, ho iniziato a lavorare nella ditta di mio suocero e devo ammettere che mi ha tolto dai guai. I miei genitori erano contenti, ormai si poteva dire che mi stavo costruendo un futuro, di giorno al lavoro e la sera a scuola.
Quando io avevo 21 anni mia madre morì di cancro, non accettai una morte così veloce e brutta ed entrai in una lunga depressione. Vedevo il mondo brutto e crudele. Lasciai il lavoro per tornare a vivere le giornate senza futuro, non pensando più a nulla. Ogni tanto trovavo lavoro in qualche azienda, ma la discontinuità insieme alla mancata serietà mi fecero cambiare tante occupazioni.
La mia famiglia non era più quella di prima, avavo perso il cuore e mi era rimasta solo la testa, cioè mio padre, ma non condividevo le sue regole. Allora conobbi una ragazza di nome Stefania, mi fece ritrovare la voglia di vivere nel modo giusto. Rimase incinta, ma, con la vita che facevo e la testa sbagliata che avevo, non mi sembrava il momento giusto per diventare padre. Fu la mia compagna a darmi la forza per crederci.
Durante la gravidanza di Stefania mio padre si ammalò e andò a vivere in una casa di cura. Mancava una settimana alla nascita di mia figlia quando mio padre morì. Ma questa volta, invece di entrare di nuovo nella fase buia, iniziai a dare tutto il mio amore a mia figlia. Ancora oggi ringrazio la mia compagna per avermi dato la cosa più bella del mondo. Si chiama Ginevra, ha un anno e mezzo. Dopo il maledetto 10 ottobre, non vivo più con lei né con la mia compagna, Stefania.
Le vedo solo tre ore al mese. Sono loro a darmi la forza per continuare a vivere. I media mi continuano a buttare merda addosso e a darmi brutti soprannomi come “assassino”, “massacratore”, “picchiatore”, eccetera. Ma si tratta di falsità e cose non successe così.
Insomma quel maledetto 10 ottobre c’è stata una lite per colpa di un cane investito e ucciso. Iniziai a litigare con quel povero ragazzo che mi aveva ucciso il cane. Gli sferrai due pugni e lui, allontanandosi per evitare i miei colpi, inciampò sul gradino andando a sbattere la testa sullo spigolo del marciapiede. Perse i sensi. Dopo un mese di coma quel ragazzo morì, cambiando la mia vita chissà per quanto.
Non so se credere nel destino o in qualche altra cosa, ma io non sono un “assassino” come scrivono questi media. So solo che senza volerlo ho rovinato tante vite, e questi media stanno facendo di tutto per certificare un’ingiustizia.
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