Antonella Cuppari | 14-03-2005 |
Ieri al gruppo si è discusso sulle funzioni della pena e sul concetto di punizione. La domanda di base è stata: “Come si vive in carcere la condizione detentiva? Come viene percepito il senso della pena da chi sta dentro e da chi sta fuori?”
Domenico, studente di giurisprudenza, preferisce parlare di funzione “rievocativa” della pena, cioè la capacità di attivare le risorse di una persona per consentirle di spenderle nella società.
Marcello interviene dicendo che in carcere fa fatica a scendere a compromessi con l’autorità perché questa situazione lo fa sentire impotente; lui si chiede anche come gli altri partecipanti all’incontro vivano il sentimento di impotenza.
Secondo Georgiev punire è giusto perché non si può essere autodidatti e rieducarsi da soli, è necessario che vi sia qualcuno dall’altra parte che assuma questa funzione.
Eric interviene dicendo che, secondo lui, chi punisce deve accompagnare chi viene punito durante la pena. Si può comprendere razionalmente che la punizione è stata causata dal reato commesso, ma è difficile comprenderne l’utilità se ci si trova in una struttura che non favorisce la riflessione sul perché non si è stati in grado di seguire le proprie aspirazioni. Come si può pensare ad una funzione rieducativa della pena se non vi è “rieducazione” al rapporto con gli altri e comunicazione con la società esterna? Secondo Eric sono proprio le attività che promuovono il confronto e la comunicazione con l’esterno a consentire questo processo.
Alla pena, nel corso della storia e sotto diversi punti di vista, sono state attribuite diverse funzioni. Aparo le riassume:
Poi pone al gruppo una domanda: “Chi commette un reato di che cosa si sente proprietario?” Una persona ha bisogno di sentirsi parte significativa della realtà e di sentirsi “proprietaria” delle cose che la circondano. Se una persona non si sente proprietaria della realtà che sta vivendo, allora sente le regole come dei limiti.
Dal momento che la pena ha per obiettivo l’evoluzione dell’individuo, non può trascurare l’importanza del senso di appartenenza al contesto sociale e del “senso della proprietà” dell’ambiente.
In questo momento, i detenuti e studenti presenti, vivono il senso della proprietà e dell’appartenenza, nel senso che ciascuno dei presenti pensa che sta comunicando e incidendo su una realtà che interessa tutti (vedremo poi se questa “incidenza” corrisponderà a senso della realtà o a un delirio bello e buono).
Alessandra, studentessa di giurisprudenza, sottolinea l’importanza di essere presente in questo momento perché ritiene che conoscere da vicino, “appropriarsi” della realtà carceraria, le sarà utile sul suo lavoro di domani.