Il mio contributo al convegno

Walter Madau

21-11-2009

Peccato che io non sia capace di ripercorrere,  una dopo l’altra, ogni singola orma studiata e proposta per questo convegno, girovagare disinvolto fra i diversi punti e soffermarmi a spiegare, per poi con destrezza uscire vivo da snodi e intrecci fatti a cappio.

Ma sono detenuto; di fatto ho già buttato una vita intera; a giorni sono carne da macello, ma qualcosa di buono voglio provare a scrivere.

E poi questo convegno l’ho voluto anch’io!
E allora inizio e inizio da dove più mi piace: la carne.

Persone che trovano in carcere un gruppo capace di fare riscoprire, altre volte ancora regredire, per poi far evolvere nuovamente identità, qualità e mezzi per vivere una vita, diciamo così, “diversa”!

Detenuti che con sacrificio si mettono a nudo, scrivendo delle proprie esperienze e irresponsabilità, che studiano e dibattono fra loro concetti e metodi mai visti prima, che lottano per mettersi su, per rimettersi al comando della propria vita con un bagaglio diverso di esperienze e di emozioni, e in questo preciso momento cercano di preparare un convegno così impegnativo per gli argomenti che affrontiamo!

Buono, buonissimo è tutto questo! Buono quanto buono è mangiare una sostanziosa e pesante costata con l’osso, al sangue!

Damiano, Jan, Santo, Roberto, Genti e altri nomi. Semplici e comuni nomi. Delinquenti con un’immagine di sé troppo disarticolata e distorta, errata e anche pericolosa! Delinquenti che all’inizio non lo erano! Quando succhiavano avidamente latte materno, erano bimbi!

Bimbi che cercavano di andare in bici senza rotelle e chissà se c’era l’aiuto del padre nel mantenere il sellino! Via una rotella e poi via l’altra e poi via, adolescenti curiosi e inesperti, forse bulli! Con i carboni ardenti sotto i piedi, incapaci di amministrarsi dentro i limiti convenuti dalla collettività; disorientati, come bandiere al vento, buttando qua e là energie e propri talenti.

Io, per esempio, non ero nemmeno un bullo. Ero un ragazzo al quale piaceva, dopo lunghe e sfiancanti partite al pallone, sdraiarmi al tramonto, con le ginocchia sbucciate nelle lunghe giornate estive, a guardare il cielo. Mi chiedevo chi siamo noi, cosa ci facciamo qui. Una forte malinconia mi prendeva, da farmi fare un ultimo scatto veloce, di corsa verso casa di mio padre.

Poi, dopo alcuni anni conobbi l’eroina.

Comunque a quell’età, sellino o non sellino, tramonti o partite di pallone, una mano ci doveva pur essere stata. Io a quell’età ancora un piatto di pasta non sapevo prepararlo. O forse qualcuno conosce qualcun altro che ha iniziato a leggere da solo o a fare 8 per 8 uguale 64?

No… non esiste! E allora c’è qualcuno che ha sbagliato, non ha tenuto bene la sella e non ha nemmeno ascoltato bene cosa gli si chiedeva, di questo non c’è dubbio! Come non ho dubbi che siamo qui in carcere, che questo convegno lo stanno preparando i detenuti, con l’aiuto del professore, con l’aiuto del Gruppo.

Uno può parlare di gruppo come se fosse un semplice grappolo, un altro parla di responsabilità come se volesse dire essere bravi o buoni. Proviamo a ragionare su questi due termini.

Gruppo è l’insieme di più individui, che nasce, cresce, si sviluppa, che può persistere o morire. Ogni singolo appartenente può esprimere più o meno un’idea, un’avventura che coinvolge tutti i membri del gruppo; ognuno è indipendente, libero nelle proprie scelte. Ma le scelte nascono e si organizzano nel contesto nel quale l’individuo cresce e si riconosce. Il gruppo è la somma di ogni singola forza. No, è ancora di più, è interdipendenza fra individui, fra comportamenti, metodi e obiettivi che il gruppo stesso si prefigge. E questo non è cosa di poco conto.

Responsabilità non è acqua minerale, vuol dire rispondere in maniera adeguata ad una richiesta e ciò vuol dire che se un adolescente ha bisogno di essere ascoltato non gli si può dare whisky da bere. Qui è veramente complicata la questione, e io posso solo dire una sola cosa a riguardo: per essere responsabili bisogna almeno conoscersi, sapere cosa si ha in mano, riconoscere e ascoltare bene.

Sì! Mi accorgo di non essere abbastanza pronto e per forza di cose devo tornare un pochino indietro. Torno al Gruppo della Trasgressione, a questa idea nata qui 12 anni fa, ma anche alla risposta della Direzione e degli agenti penitenziari che ci hanno permesso di lavorare con serenità. Ma allora non è che questo gruppo forse si è allargato? Non è che in qualche maniera e in diversa misura altre persone interagiscono con il nostro obiettivo? Con il nostro progetto?

Ah, bene, bene. Sono contento, ma non basta. I conti continuano a non tornare e 8 per 8 sembra un 88.

Com’è possibile che persone così disastrate, dalla visione così distorta, in un diverso clima, possano parlare e mettere su un convegno?

I conti non tornano e 8 per 8 fa 64, e al convegno ce ne saranno ancor di più di persone invitate: padri, madri, autori di un’educazione primaria rivolta ai propri figli. Le stesse persone forse sono anche autorità istituzionali, come quella scolastica, sanitaria o di polizia penitenziaria; persone che hanno sposato i principi che l’autorità prevede e cioè di aiutare a far crescere la persona che ha bisogno di crescere e vigilare su di lui.

Come mai questo convegno si svolge in carcere? Ok, i conti non mi tornano ma non è questo il problema. Qui non stiamo a vedere chi ha sbagliato o non si è comportato in maniera sufficientemente responsabile. Io poi… la rapina l’ho anche fatta!

Il problema è cosa fare, quali strumenti sono necessari, di cosa dobbiamo nutrire le persone, gli adolescenti, per far sì che la vita venga vissuta in maniera più costruttiva, meno sofferta… meno affamata. Io non dico che si può risolvere totalmente il problema ma, quantomeno, ci dobbiamo provare.

Che questo convegno porti ognuno di noi a riflettere sulle proprie responsabilità, a fare un inventario delle proprie risorse e mezzi disponibili; che porti a riflettere sull’importanza di condividere una linea, dei modi e dei metodi, proprio come fa il Gruppo della Trasgressione.

Il gruppo lavora su un piccolo appezzamento di terra fertile, adeguato alla crescita, ma che però non basta. Non basta più. Non basta il Gruppo della Trasgressione. Troppo piccolo è questo terreno e il danno inoltre è già stato fatto. Il drogato è già drogato, la rapina è stata compiuta, il farmacista è già stato ammazzato. Ed io ho già buttato la mia vita, prima fuori e poi dentro!

Allora non solo più modi e metodi per il dentro, ma metodi e progetti attendibili per il fuori, mi piacerebbe ascoltare. Un bel progetto dove uomini possono trovare posto, riscontro, punti di riferimento, aiuto reciproco e libertà; libertà di scegliere fra le diverse cose da fare, fra le diverse e molteplici relazioni instaurate.

Adesso scusate, sono veramente stanco.
Ho buttato via una vita intera.
Questo non potrò mai dimenticarlo.