Riunione 28-04-2007 |
Redazione | Verbale dalla riunione del | 28-04-2007 |
La riunione si apre con la presenza di pochi membri del gruppo e con un’atmosfera fiacca. Aparo riferisce della trasmissione radiofonica della sera precedente promossa da Sofia su www.okmusik.com e osserva che i risultati ai quali il gruppo si è abituato fanno sì che ci si senta su una zattera malferma anche se nell’ultimo mese abbiamo ottenuto risultati invidiabili. In quest’amosfera un po’ da naufraghi, ognuno prende a parlare di sé: Gianni racconta di come si sentiva alle prime riunioni cui aveva partecipato e lo mette a confronto con quello che sente oggi, a pochi giorni dal suo fine pena, desideroso di fare buon uso per il proprio futuro dell’affetto verso la sua nipotina e di quanto ha acquisito con la frequentazione del gruppo: “io ci ho guadagnato a far parte del gruppo, prima ero impulsivo, non riuscivo a capire gli altri, a parlare serenamente, a confrontarmi”. Rossella parla del lavoro personale che sta compiendo all’interno della scuola di specializzazione e di come un’idea di se stessi attendibile non possa essere raggiunta appieno senza il contributo delle altre persone. Silvia dice di sentire il tema del Male cui ci stiamo dedicando come uno capitolo molto stimolante per ogni singolo membro del gruppo, ma allo stesso tempo di essere appesantita da vicende personali. Vito dichiara che lo studio per il diploma di ragioneria gli impedisce di dedicarsi come vorrebbe in tempo ed intensità al tema che stiamo trattando. Enzo comunica la sensazione di stanchezza e di mancanza di vitalità personale. Ci sono poi due interventi di Secondo e Gianni che sottolineano la difficoltà del vivere in carcere e di far fronte a frustrazioni e conflitti. Aparo: anche se entrambi i racconti sono stati condotti con ironia, ascoltando, mi sono sentito in carcere, cosa che non accade spesso quando si è al gruppo; lo sfogo, la chiacchierata che viene dal cuore, è utile a volte, ma darle troppo spazio nei nostri incontri, se la cosa non viene legata a un progetto, rischia di trasformare il gruppo in una bacinella per raccogliere lamentele da carcerati. A questo punto sembra opportuno cominciare a riprendere il lavoro sul male da dove lo si era lasciato e Aparo suggerisce di provare a mettere in correlazione quattro elementi: il male, la libertà, Dio, il peccato originale. Apre il giro di interventi Rossella, che lega al male e alla libertà uno scritto di Dimitar, Il Muro, e finisce dicendo che la mancanza di libertà di espressione è un male personale. Pasquale legge un suo scritto in cui parla del male come sensazione interna di attesa senza fine, di cronicizzazione del nulla. La libertà è sapersi-potersi districare fra le forze che ti tengono incapace di agire: Il gesto di Adamo rappresenta la debolezza degli uomini riguardo al fatto di essere affascinati dal proibito. Maurizio parla del male in termini di violenza sui bambini e dice che la violenza priva il bambino della libertà di pensiero. Gianni pensa che riuscendo a comprendere le ragioni per cui ciascuno ha trasgredito ci si possa adoperare poi per usare i propri bisogni in modo alternativo. La propria natura, dice Gianni, non si può cambiare; si può cercare di appagarsi in un modo che non danneggi sé e gli altri: cosa mi dava rapinare? Io sento il bisogno di continuare ad averla quella gratificazione, ma sento anche che devo escogitare un modo per cui io la possa agguantare senza rischiare la libertà e senza provocare dolore. L’aggressività finalizzata alla costruzione diventa tenacia. Enzo parla dello scritto di Pasquale e del vivere nella solitudine del male: Il figlio più disgraziato del padre Karamazov (vedi Malcovati) assume su di sé i desideri mortiferi dei fratelli, inchiodando se stesso e gli altri al suo male. Se non si trova espressione per il male che si ha dentro non ci si accontenta di fare gli operai. Mario: Perché Dio ha creato l’uomo e poi l’ha messo alla prova? Sono giunto in tarda età a chiedermi chi è veramente Dio; in fondo l’uomo lo cerca quando ne ha bisogno. Forse è una costruzione dell’uomo che ha sempre bisogno di mettersi alla prova. Poi aggiunge: Gianni sembra predisposto ad uscire e a fare cose buone ma è difficile, ci vogliono stimoli grandi. Per noi cambiar vita è come per un miliardario diventare povero. Non tanto per i soldi che ti passano per le mani quanto per ciò che senti dentro mentre lo fai. Vito: C’è un filo rosso tra i quattro elementi indicati dal dottore; io ho pensato che il male sta alla libertà come il peccato originale sta a Dio. Ma il mio pensiero è in evoluzione. Maurizio: Rispetto agli interventi di Gianni e Mario, penso che nel momento in cui rientri nel vecchio meccanismo di pensieri hai già perso in partenza la libertà di agire; le motivazioni cadono ed è per questo che il modo di pensare che va cambiato. Enzo: Il mio cruccio è sbagliare nella relazione con i miei figli e che il mio errore possa indurli a non distinguere il bene dal male. Alessandra: Il libero arbitrio è un regalo; ma quando la prova a cui ti sottopone la vita non riesci a ricondurla a nessuna spiegazione? Dove sta la libertà di scelta? Ti senti impotente e basta. Quando parlava Enzo mi chiedevo: cosa chiede un figlio al genitore? Io ho bisogno di un adulto che sia credibile. Aparo: Adamo ed Eva, senza conflitto con Dio, rimarrebbero incatenati nella condizione di oggetto di Dio, privi della possibilità di diventare coautori del proprio cammino. D’altra parte, anche chi non crede in Dio, prima o poi, entra in conflitto con suo padre. Questo accade a tutti gli adolescenti. Adamo è il primo adolescente di cui si ha notizia. Magari Adamo non è mai esistito, ma di certo ogni adolescente ha bisogno di cercare se stesso esplorando territori e toccando frutti proibiti. Si tratta di un gioco eterno nel quale padre e figlio sono chiamati a riconoscersi e a integrarsi nelle loro differenze e, allo stesso tempo, un gioco nel quale l’uno e l’altro temono che la sfida possa corrispondere all’annientamento di uno dei due. Per l’uomo emanciparsi dalla condizione di giocattolo divino è indispensabile, quindi non c’è scampo, bisogna per forza entrare in conflitto. Che sia Dio ad aver creato l’uomo o viceversa, Dio non è pensabile come un Dio che crea, ti mette in paradiso e tutto finisce lì. Il gioco consiste nel governare il sogno impossibile di giungere fino al cielo, senza cedere al delirio di poterci arrivare per davvero e senza deprimersi troppo per la coscienza che non ci si arriverà mai. Nel frattempo, ci si diverte a montare e smontare impalcature e teorie, si imparano un sacco di cose sfiziose e, amministrando le proprie voglie, si passa dalla condizione di bambolotto a quella di uomo. Spesso, si pensa al bene e al male come a due entità che esistono a prescindere da quello che si ha per le mani. Per quanto mi riguarda, non credo che l’azione malvagia o la sopraffazione violenta meritino il copyright del male più della scorciatoia mediocre che ciascuno di noi può adottare ogni giorno, di fronte alle scelte cui siamo chiamati. Ognuno procede in una direzione o nell’altra un passo dopo l’altro. Si nasce con un desiderio che non si può spegnere: la mela che sta al di là del proprio orizzonte. Senza trascurare che una cosa è calpestare l’erba e un’altra è entrare in casa degli altri, l’esperienza dice che ogni giorno ci si trova di fronte alla necessità di scegliere se puntare alla mela attraversando il giardino per la strada più breve e calpestando ciò che sta in mezzo o tollerando la fatica di seguirne i sentieri, magari godendosi nel frattempo il paesaggio. Qualcuno, strada facendo, si appassiona alle piante tanto da diventare botanico; qualcuno, dopo avere osservato la mela con calma, decide che gli interessano di più le arance; altri ancora si stancano prima di aver completato il percorso e si fermano alle pere.
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