Beppe Onida | 26-05-2008 |
Non pensavo che mi sarei affezionato così tanto a Rudy e alla nostra convivenza in carcere. Qui dentro le strade delle persone, pur diverse, hanno in comune il fatto di essere colme di asperità. A differenza di Rudy, io sono entrato a San Vittore con la quasi certezza del tempo che ci avrei passato, perché ho scelto io di venirci; sarei potuto rimanere in comunità, ma dentro di me c’era una guerra che poteva terminare solo qua a San Vittore. Il lavoro del gruppo ha contribuito a far crescere la nostra amicizia, anche per gli stimoli che ci portiamo via dagli incontri di lunedì e sabato. La cella è diventata il nostro spazio più produttivo e ora, che le nostre strade si stanno separando, non basta dire a me stesso che lo si sapeva già in partenza.
Rudy, voglio dirti che anche per me non finisce uscendo dal carcere, anzi, è proprio con la mia uscita che inizia la strada più complicata, ma la volontà di rimanere in quel posto che tu chiami prato verde, città della legalità, per me è così forte che cercherò di affrontare le difficoltà, anzi, prima di affrontarle cercherò di circondarmi di persone che mi aiutino a riconoscerle, per evitare che si presentino all’improvviso. Io credo di conoscere bene quelle più visibili, ma mi fanno paura quelle che ci seducono nella penombra, travestite di grandezza o di verità. So una cosa, e credo che possa aiutarci parecchio, è importante riconoscere le proprie paure, i propri limiti, perché questo aiuta a prevenire l’impulso ad agire senza ragionare e a lasciarsi condurre dalla rabbia e dall’odio.