Tempesta | |
Denise Negri | 30-01-2004 |
Cecità, orgoglio, incapacità di fare quel “piccolo passo” così grande nella sua importanza, così difficile da compiere: mettere le emozioni a disposizione degli altri, qualunque esse siano. Improvvisamente, nella notte, un bagliore ci scuote, rovescia i nostri convincimenti, ci impone di guardarci allo specchio, tratteggia spesso le “rovine” sulle quali, sovente, ci ergiamo con supponenza e arrogante pretesa di sapere sempre cosa rappresentiamo noi per gli altri e viceversa.
E’ la “vibrazione” atmosferica che irrompe negli aspetti tanto reconditi quanto intimi e pregni di sacralità che compongono il nostro essere, il personale vissuto che, giorno per giorno, rivestiamo con gesti, parole, incontri, esperienze, sensazioni…
La vita ha per molti versi le caratteristiche di uno strano gioco, con regole (che non sempre valgono per tutti), ruoli, percorsi e labirinti (dove si rischia di perdersi), con il solito baro (che a volte la fa franca), con chi rimane a guardare attonito di fronte al mazzo di carte (e non ha il coraggio di alzarle da solo), con coloro i quali hanno spesso paura a scoprirle (è sempre difficile giocare con la verità), con chi tenta un’altra volta la sorte, sentendosi addosso il disagio di un destino ormai scritto, irreversibile, e la tentazione di “passare la mano”. Ma il tavolo da gioco non offre via di uscita: o stai, o esci.
La scelta di gettare i dadi, di far girare la ruota, di esserci comunque senza tirarsi indietro, implica coraggio, fiducia in se stessi e in chi ci sta accanto, ricerca di conferme e conforto nel ricordo anche di coloro che ci hanno sì lasciato, ma che continuano ad amarci. Lo scambio di idee, il confronto aperto, il porre nelle mani degli altri le domande, i bisogni, la voglia di essere migliori, l’umiltà di riconoscerci fallibili, fragili, ma sempre noi stessi, può essere un’ancora, può identificarsi con quel lampo che, se in un primo momento ci ha abbagliato ferendo i nostri occhi, diventa poi chiarore che definisce i contorni, che mostra la vera natura dell’io alla ricerca della propria dimensione, del “chi sono”, del “in che cosa credo”, del “voglio imparare ad amarmi” e quindi a dare tutto l’impegno di cui sono capace senza risparmio, contropartita, in modo gratuito.
Ecco che allora il dolore di uno sguardo sviato, la nostalgia di un qualcuno che non mi è più accanto, la malinconia di un momento non condiviso, si concretizzano nell’obiettivo concreto di conquistare l’opportunità che ci viene offerta e che solo noi stessi possiamo negarci o negare. Oppure cogliere, facendone partecipi e co-protagonisti coloro ai quali teniamo in maniera particolare.
La morte è parte fondamentale di quell’affresco tracciato da mano suprema che nulla lascia al caso ma solo all’umano e quindi perfettibile libero arbitrio. E’ un gigantesco incastro e gioco (il termine ritorna, inesorabilmente, come in un antico rondò in cui il ritornello gira in tondo) di tessere mai ferme, sempre alla ricerca del loro esatto posto: è la rappresentazione secolare della vita.
L’ultimo atto della vicenda di un uomo, la conclusione della sua storia, il logorarsi di un tassello (la figura di un padre) lascia il posto ai colori più vividi di una nuova tessera (il figlio), la quale trova giusta collocazione proprio nello spazio del sentimento paterno la cui impronta rimane, quale eredità interiore, divenendo ricchezza di cui solo l’amore filiale potrà beneficiare. L’intimità inviolabile di un affetto così profondo come quello del figlio verso il padre valica i confini temporali e spaziali. Non esiste metro o unità di misura che possa quantificare un simile investimento. L’amore non si misura, non crea debiti e crediti ma è “lampo nella notte”, una scossa improvvisa, motivo di riscatto e ancora nella tempesta.
Solo chi molto si ama molto perdona e fa del rispetto di se stesso il punto di partenza per trovare il coraggio di voltare pagina, di giocare apertamente la propria partita, di liberarsi dal dolore per evolverlo in creatività.
Il ponte che il Giorgione ha dipinto sullo sfondo della propria composizione mi appare come l’unica soluzione per risolvere i problemi che quotidianamente possono affliggerci.
E’ il collegamento virtuale ma necessario su cui ci incontriamo, per crescere, essere meno soli, stare meglio scambiandoci l’uno con l’altro, per esorcizzare le paure, anche e soprattutto quella che proviamo di fronte al fiore che appassisce lasciando cadere quei semi che germoglieranno, ripetendo il miracolo in cui la vita trionfa sulla morte.