Fragilità e funzione |
Angelo Aparo |
12-04-2014 |
Ciao Franco, amico dalle ossa fragili, Marta Sala è rimasta affezionata a te e si vede.
In questo periodo ragiono molto su Fragilità e Funzione. Ma al momento e col poco tempo che ho, riesco a proporti delle considerazioni che facciamo al gruppo solo poche linee essenziali.
Si nasce e si cresce avendo bisogno degli altri, soprattutto delle persone che agli occhi di chi è piccolo sembrano possedere le redini del mondo: i genitori che provvedono ai nostri bisogni e che contengono la nostra fragilità.
Se le cose vanno mediamente bene, direbbe Winnicott, la gestazione, che nei primi nove mesi aveva portato una prima cellula a diventare un neonato, continua per anni, guidando il neonato a diventare un soggetto sociale.
Ma per le ragioni più diverse accade che la nostra naturale fragilità molte volte non trova risposte confortevoli o utili per rendere solida, duttile e funzionale la nostra architettura emotiva e sociale.
Il soggetto trova allora risposte approssimative e comunque insufficienti per interfacciarsi in modo collaborativo con gli altri:
a volte si ripiega su se stesso attendendo che altri provvedano a lui,
a volte simula un senso di pienezza attraverso un uso intensivo dell’eccitazione,
a volte rappresenta e replica compulsivamente il proprio senso di precarietà attraverso il gioco d’azzardo e un dialogo sordo e violento con l’immagine di un dio cattivo e arbitrario (il fato, il destino);
a volte simula di bastare a se stesso attraverso un atteggiamento predatorio;
a volte proietta la propria fragilità sugli altri (vedi bullismo e delinquenza) per rafforzare il proprio delirio di indipendenza e di onnipotenza.
Tutte le risposte alla fragilità appena elencate sono anche tentativi per non soffrirne, ma sono anche modi che ostacolano la ricerca delle collaborazioni utili a far diventare la nostra insufficienza e imperfezione, le nostre risorse e, in definitiva, la nostra identità, tessere di un mosaico di cui sentirci coautori. In un mondo complesso come il nostro è, in effetti, difficilissimo che le persone riescano a sentirsi coautrici del mosaico in cui e di cui viviamo. Che possibilità abbiamo di diventare parti non casuali o addirittura elementi significativi di un mondo nel quale è fin troppo facile sentirsi invece ingredienti di un frullato di consumatori e consumati?
L’urgenza di sfuggire a questa sensazione spinge molti a procurarsi risposte a basso prezzo, risposte che però rendono per tutti ancora più difficile svolgere una funzione significativa all’interno dell’architettura con cui interagire e nella quale riconoscersi vicendevolmente.
La domanda è: tu, che della fragilità sei l’emblema, come vivi con le tue ossa fragili? Con quali strumenti cerchi risposte utili alla tirannia della tua fragilità?