Sul pecoraio e l'esattore |
Marta Sala | 17-01-2006 |
Nello scritto di Dimitar mi colpisce la differenza tra le due scene in cui l’esattore chiede a Giorgio, il pecoraio, di cantare in pubblico. Le due richieste ottengono esito opposto proprio in virtù del diverso modo in cui vengono poste. La prima volta Giulio, l’esattore, irrompe sulla scena dopo aver sentito il canto e ordina a Giorgio di cantare il giorno seguente alla festa paesana; ciò che ottiene è l’obbedienza del pecoraio, il quale si reca alla festa e sale sul palco, ma non la sua voce. La seconda volta, invece, Giulio si presenta al pecoraio dopo aver ascoltato per lungo tempo il suo canto nascosto dietro una collinetta, si scusa per il suo comportamento passato e invita Giorgio a cantare alla corte del re. A quel punto, Giorgio accetta il consiglio di provare a cantare davanti ad una folla di persone.
Nella favola c’è un’evoluzione del rapporto tra i due personaggi: dalla difficoltà di comunicazione, da una parte del proprio piacere di ascoltare il canto e dall’altra del timore di esibirsi davanti ad un pubblico, si passa ad una vicinanza chiarificatrice che permette la libera espressione di entrambi i protagonisti. In particolar modo parla del conflitto di Giorgio, combattuto tra il dare qualcosa di sé agli altri e il tenerlo per sé: quando la richiesta gli viene come un obbligo imposto, reagisce chiudendosi nella sue paure, quando invece viene invitato a vincere i propri timori esibendosi, riesce a cantare “come mai prima”.