L'uomo che cantava alle pecore |
Dimitar Georgiev | 14-01-2006 |
Una giornata come tante altre in un paesino sperduto tra le montagne; la vita passava senza particolari intoppi, l’unica preoccupazione era se pioveva o no.
Giulio Rocca era l’amministratore, l’autorità di quel piccolo paesino, se si può definire così uno che raccoglieva le tasse e le portava alla corte del re. Era temuto dagli abitanti, la sua parola era sempre l’ultima e decideva sempre lui per qualunque cosa. Era una specie di padre-padrone per niente tenero con i suoi abitanti.
Quel giorno Giulio, facendo lo stesso tragitto di sempre per portare le tasse degli ultimi tre mesi raccolte il giorno prima, udì un canto bellissimo provenire da dietro una collinetta. La voce e il canto erano talmente belli che lo incantarono subito. Si affacciò per vedere di chi fosse una voce così melodiosa e quello che vide lo sorprese tantissimo.
Era un uomo seduto su un sasso che cantava alle sue pecore e sembrava quasi che le pecore lo ascoltassero. Si avvicinò e l’uomo seduto smise di cantare. Giulio lo guardò e gli chiese: “Ma tu chi sei?”. La risposta dell’uomo fu molto veloce: “Mi chiamo Giorgio e sono un pecoraio”. Giulio rimase stupito qualche istante per la risposta ricevuta, vedeva che quell’uomo non aveva paura di lui e allora disse: “Tu sai chi sono io? Ti ho sentito cantare e ti ordino di venire a cantare alla festa del paese che sto organizzando. Ci vediamo domani a mezzogiorno”.
Giulio si girò con la solita arroganza e se ne andò proseguendo il viaggio. Giorgio rimase con le sue pecore senza più pensare tanto all’incontro avuto. Al calar della sera riportò le pecore al padrone e gli raccontò dello strano incontro di poco prima. Il padrone era un uomo benestante e piuttosto anziano e, sentita la storia, disse a Giorgio: “Sai che quell’uomo è l’autorità e l’amministratore del nostro paesino? Se ti ha ordinato di andare a cantare alla festa, tu ci devi andare”.
Giorgio ascoltò con pazienza e se ne andò senza pensare troppo alle parole dell’anziano, anche perché non sapeva cosa volesse dire amministratore. Lui conosceva solo le sue pecore con le quali aveva passato tutta la sua vita: loro erano le uniche a cui cantava.
Il giorno dopo Giorgio si svegliò con in mente le parole dell’anziano e decise così di andare alla festa. Tutto era imponente e in piazza c’era quasi tutto il paese. Giorgio non aveva mai visto così tante persone. C’era Giulio che teneva un discorso sul palco e tutta la folla che lo applaudiva. Ad un certo punto Giulio annunciò che Giorgio avrebbe cantato. Giorgio salì sul palco e la folla smise di rumoreggiare: tutti lo guardavano e aspettavano che cominciasse, solo che lui, vedendo tutti quegli occhi che lo fissavano, rimase pietrificato non riuscendo a pronunciare neanche una strofa, una parola, niente. Giulio, vedendo la situazione, cominciò ad arrabbiarsi, gridando e bestemmiando si avvicinò a Giorgio e alla fine lo cacciò via.
Giorgio scappò tornando dalle sue pecore e alla vita di sempre. Sarebbe finito tutto lì se Giulio non avesse fatto sempre la stessa strada per portare le tasse al re. Ogni volta che passava, sentendo quel canto bellissimo, si nascondeva ad ascoltare; quella voce era diventata un tormento.
Decise di nuovo di andare dal pecoraio per parlargli, ma quando si avvicinò Giorgio si spaventò, ebbe una paura tremenda. Giulio, capendo la situazione gli disse: “Giorgio, non devi aver paura, sono venuto a parlarti come amico. Senti, so che ho sbagliato, perdonami; pensavo che non volessi più cantare”. Giorgio lo guardava e in quel momento non riusciva a vedere in lui la persona che aveva conosciuto come un arrogante amministratore. Era diverso. Gli rispose: “Non è che non volessi cantare, ma vedendo tutti quegli occhi che mi fissavano ho avuto paura. Penso che non riuscirò mai a cantare davanti a così tante persone.
Giulio ascoltò pazientemente e con un gesto insolito e inaspettato abbracciò Giorgio e gli disse: “Canta, canta alle tue pecore”. Giorgio cominciò, le pecore istintivamente si girarono e come sempre lo fissarono con i loro grandi occhi. “Vedi”, disse Giulio, “quanti occhi ti fissano e tu non hai paura di cantare. Sappi che non c’è differenza tra gli occhi delle tue pecore e gli occhi delle persone. Chiunque, quando sente una cosa bella, vuole solo vedere cos’è”.
Così Giulio invitò Giorgio alla festa del paese e proseguì il suo viaggio. Giorgio ascoltò il consiglio di Giulio, si recò alla festa e cantò come mai prima d’allora. Molto presto la voce dell’esistenza di un cantante bravissimo si diffuse e giunse fino alle orecchie del re che lo invitò a corte a cantare per lui. Giorgio lo fece e rimase per sempre in città a cantare per la gente.