Su l'uomo che cantava alle pecore |
Daniela Marasco | 16-01-2006 |
Ascoltando Dimitar, sentendo e vedendo le immagini della sua storia, mi sono venuti in mente i racconti di mio padre.
Perché quando si scrive l'importante è avere qualche cosa da dire e da trasmettere. E probabilmente il pastore non riesce a cantare davanti a quella folla di persone che lo osservano semplicemente perché non ha nulla da condividere con loro.
E' poi interessante l'inversione di ruoli, il cambiamento avvenuto nell'esattore, un personaggio negativo all'inizio del racconto, che dopo aver parlato con il pastore rivela gli altri aspetti del suo carattere. Il potere della comunicazione.
La storia mi ha colpito e assorbita. Anche se mi piace pensare che ogni tanto il pastore torni a cantare alle sue pecore.
L'uomo cantava alle pecore, perché esprimersi con gli animali, la semplicità, la naturalezza e l'istinto, è più immediato, facile e semplice. Come dice Pirandello in "Uno, nessuno e centomila": nella comunicazione umana il significato della parole viene distorto dalle emozioni di chi si esprime, dal contesto in cui avviene il dialogo e dalla interpretazione di chi ascolta. E a volte è meglio il silenzio.
Non ha importanza dire se il racconto ci sia piaciuto o meno. Ci siamo tutti soffermati a discutere sui suoi aspetti e sulle nostre sensazioni. Quindi il racconto è riuscito nel suo intento. E' un cristallo dalle molteplici sfaccettature che ci ha assorbito nei suoi mille riflessi.