Angelo Aparo | Dicembre 1998 | Convegno su Carcere e teatro |
Una bambina picchia una bambola e mette in scena un conflitto. Lei si sente cattiva, e ha bisogno di dare una rappresentazione del proprio conflitto. Un ragazzo picchia un altro ragazzo; e anche stavolta ci si serve dell'altro per mettere in scena un conflitto fra parti interne di sé. Un detentore opprime un detenuto e anche stavolta si assiste ad una messa in scena. Le parti vengono assegnate e i due personaggi assumono una definizione che è funzionale alla rappresentazione.
Di fronte a un conflitto spesso si apre una lacerazione, i due lembi della ferita si divaricano; qualche volta si allontanano sempre di più, dimenticando d'avere un'origine comune, altre volte mantengono dentro l'impulso a cercarsi, a ricongiungersi.
A volte la ferita, il baratro fra le due parti è così grande che non è possibile ricongiungerle; in questo caso esse si difendono l'una dall'altra cercando di riparare ciascuna la propria parte sfilacciata; altre volte le due metà cercano invece l'ambiente e gli strumenti adatti per tornare insieme.
Di fronte ad ogni ferita si genera una menzogna; è menzogna la distanza fra la bambina buona e la bambina cattiva, fra il picchiatore e il picchiato, fra il persecutore e la vittima, fra il detentore e il detenuto. Non sempre se ne è coscienti, a poco a poco il ricordo dell'altro lembo si va perdendo, e quando lo si incontra lo si sente altro da sé, nemico.
Ogni menzogna genera uno squilibrio e il bisogno di inventare un nuovo equilibrio.
A volte lo si fa nascondendola, ad esempio cercando conferme più o meno capziose della distanza fra le due realtà separate; altre volte si lavora per superare la lacerazione, ad esempio lanciando ponti di collegamento fra le due parti.
La figura del doppio dà luogo ad una dinamica molto studiata dalla psicoanalisi e molto presente nella letteratura: ne sono esempi famosi "Il ritratto di Dorian Gray" di Oscar Wilde o "Il compagno segreto" di Conrad. Il fenomeno del doppio nasce in concomitanza con una situazione di oppressione, una situazione nella quale il conflitto non può essere esperito appieno, né può essere adeguatamente condotto verso la soluzione.
Non sempre il rapporto col doppio consente di giungere alla soluzione:
Il teatro, come il doppio, come il gioco, il cinema o, in fondo, qualsiasi rappresentazione di sé, consente a chi patisce gli effetti di una lacerazione, sociale e/o psichica di lavorare per ripercorrere la menzogna della separazione e per costruire un ponte con cui agganciare l'altro lembo della ferita prodottasi.
La bambina, a causa del conflitto interno, prende le distanze dalla bambola alla quale assegna il ruolo di bambina cattiva, ma attraverso la messa in scena del conflitto cerca inconsciamente di fare in modo che la parte buona della bambola incontri la parte cattiva della bambina e viceversa.